Permettetemi, ora, di parlare della mia città, Napoli, ricca di panorami da mozzafiato, storia, tradizioni, miti e leggende. Napoli spesso viene identificata con “pizza e mandolino” e ultimamente ……anche con “monnezza”, etichette queste con le quali spesso i mass media usano nei suoi confronti e che non le rendono affatto giustizia.
Sarebbe ora che tutti si accorgessero delle vere bellezze che questa città offre!!!
Napoli è sì, la città delle contraddizioni, ma è anche la città degli uomini d'amore, la città che soffoca il respiro con la sua bellezza naturale. La città del sole, dell'amore, del mare , la osservo e la vedo... la ascolto nel suo putiferio di caos totale, vedo i colori della città e della gente. Quando sono in giro nei luoghi a me più cari, i miei occhi si spalancano e accolgono la luce della città. Come se non l'avessi mai vista. Eppure la conosco come le mie tasche o quasi. Ho visitato parecchie città italiane, ma Napoli è… …semplicemente Napoli.
La sua bellezza è assolutamente naturale; anche se non ci fosse il Maschio Angioino, Piazza Plebiscito e il Palazzo Reale, il Castel dell'Ovo, sarebbe splendida, basti solo pensare alla posizione geografica, alla vista della terrazza di Sant'Antonio a Posillipo c'è da rimanere senza fiato.
Veduta del maestoso e imponente Maschio Angioino, realizzato durante la dominazione Angioina poi ricostruito quasi interamente dagli Aragonesi che gli diedero il nome di Castel Nuovo. E' uno dei simboli della città ed è annoverato tra i castelli più famosi d'Italia. Dotato di cinque torri cilindriche merlate e di un arco di trionfo (realizzato in onore di Alfonso I d'Aragona, per celebrare il suo ingresso a Napoli nel 1443), era il centro politico e culturale della città.
Emiciclica, armoniosa e monumentale, è come chiusa dalla neoclassica chiesa di S. Francesco di Paola col suo prolungamento a colonnato curvilineo e, all'altro estremo, dal Palazzo Reale. All'interno, nel vasto spazio, le statue equestri di Ferdinando I e Carlo III di Borbone.
Una caratteristica della città di Napoli è la coesistenza delle tracce di epoche e stili diversi, che si avvicendano e si mescolano a volte su più livelli stratigrafici, integrandosi come in un mosaico. Attorno al nucleo della città, di impianto greco-romano costituito da decumani e cardini, Napoli si è infatti sviluppata nei secoli inglobando le zone limitrofe, con l'urbanizzazione delle campagne, delle aree paludose orientali e dell'arco collinare a nord-ovest. Chi ha avuto la fortuna di vederla sa di cosa parlo. Pur con banalità cito il caratteristico solco di Spaccanapoli (i decumani), strade che percorrono, anzi tagliano, solcano un bel pezzo di Napoli, guardando dal piazzale San Martino, la parte alta della collina del Vomero, Via Roma, Piazza del Gesù dove si vede la Guglia dell'Immacolata, P.zza San Domenico dove è imperdibile la chiesa gotica e barocca di San Domenico Maggiore, e ancora San Gregorio Armeno dove nel periodo invernale sotto Natale, nella pura cultura napoletana, le vie si riempiono letteralmente di gente che visita botteghe e bancarelle dei fabbricanti di presepi fatti di qualsiasi materiale. Cosi andando avanti spingendosi fino a Castel Capuano. Insomma un percorso meraviglioso, che inizia con San Biagio dei Librai, il vero principio di Spaccanapoli. Percorso da fare a piedi per capirne meglio il gusto ed il sapore. E quelle luci, poi ancora quelle “voci caratteristiche”, quelle donne con le mani sempre sui fianchi... le lenzuola e non solo quelle, stese al vento anche in pieno centro... Imposizioni di gente sanguigna, d'amore, che spesso scivola in meccanismi apparentemente sgradevoli, in cui non è semplice non rimanere impigliati.
Cara Napoli, città colorata e spugnosa, meravigliosa e lucente, pronta a penetrare attraverso gli occhi, il cuore e la pelle.
Dopo questa dichiarazione d’amore nei confronti della mia città, passo ad alcune notizie di carattere vario.
Posizione geografica
La città di Napoli è un puzzle geografico incastonato tra le insenature di un golfo unico nel suo genere, a ridosso di un calderone vulcanico che ne ha determinato l'inconfondibile profilo ortografico e ne ha condizionato gli insediamenti antropici. L'alternarsi di rilievi armoniosi, di fertili pianure e di ricami costieri inconfondibili ha fatto sì che il territorio conciliasse attività marinare con la produzione agricola, paesaggi collinari e montani con ambienti marini di rara armoniosità, una psicologia aperta e immaginifica con una tenacia e una rassegnazione capaci di resistenze montanare.
Ed ora uno “spaccato” di Napoli da punto di vista delle:
TRADIZIONI, MITI E LEGGENDE
Una passeggiata nella città dove più che in qualunque altro luogo le cose belle vengono enfatizzate con lo stesso eccesso usato per minimizzare le cose brutte. Dove tra maremoti, terremoti, eruzioni del Vesuvio, epidemie di peste e di colera è successo di tutto e chissà quant’altro avrebbe potuto succedere, se non ci fosse San Gennaro che la protegge... E' naturale che Napoli sia la città del mito e del soprannaturale dove la Morte, che ne ha segnato storia e leggende, abbia un rapporto di confidenza che facilmente sfocia in familiarità, disinvoltura di modi e di espressione, terreno fertile per umorismo e ironia. Gli stranieri la visitano con circospezione ma al tempo stesso divertiti. Consapevoli di trovarsi in un luogo unico al mondo, nel bene e nel male. “Napoli, l’unica vera metropoli dell’Italia meridionale: una città bellissima e sporca, una città vivace e indisciplinata, una città dalle molteplici sfaccettature, che come nessun’altra riesce ad attirare su di sé le opinioni più diverse”. Napoli, una città sulla quale si è depositato un tale strato di narrazione da renderla non visibile agli stessi napoletani. Da qui la necessità di un ecologia dello sguardo, di un liberare soprattutto i sensi perchè siano essi e non ciò che già si sa della città a guidare la conoscenza di una Napoli che è anche rischio e sporcizia, che "ti ferisce a morte o ti addormenta" ma che è persino altro, altro, altro. Napoli è una delle città più antiche dell’Occidente e,come tutte le città dell'antichità (Babilonia, Troia, Roma), che vantano tradizioni mitologiche e leggende sulla sua origine, anche la nascita di Napoli è celata dal suggestivo velo del mito e della leggenda. Studiosi e letterati, nel corso dei secoli, si sono sbizzarriti ad illustrare con estro e fantasia innumerevoli racconti, ma protagonista di tutte le leggende sulla fondazione di Napoli è sempre la mitica sirena Partenope che, caduta vittima dell’astuzia di Ulisse, abbandonò adirata il temibile scoglio delle sirene per giungere all’isolotto di Megaride, che accoglie l’attuale Borgo Marinaro, in via Partenope.
La mitica sirena Partenope
Napoli è anche detta Partenope perché la sua origine è legata ad una leggenda secondo la quale la fondatrice della città fu Partenope. Prima di trovare la sistemazione in Palazzo San Giacomo, la statua di Marianna a capa e' Napule si trovava abbandonata in un cantone di Piazza Mercato (vicino al mare); poi fu posta su di un piedistallo per volere di un anonimo cittadino nel XVIII secolo. Ha assistito a tutta la storia di Napoli, partecipandovi anche. I Napoletani avevano con lei un rapporto affettivo contraddittorio, sfogavano su di lei tutti i malumori di un popolo oppresso, poi tornata la calma rimediavano i danni riportati; durante la rivolta di Masaniello, del luglio 1647, nel periodo dei Vicerè spagnoli, le venne rotto il naso. Un altro pericolo serio lo corse all’epoca della Repubblica Partenopea del 1799, stato satellite della Francia, invisa al popolo fedele a Casa Borbone, il quale la identificò con la “Marianna” simbolo della Repubblica Francese, nome che le rimane tutt’ora; ma a salvarla fu quell’atavico e misterioso senso di rispetto dovutole che la faceva ritenere sacra. Infatti, era, 20 secoli prima, parte di una statua che rappresentava la Sirena Parthenope (dal greco arcaico: vergine dalla voce di fanciulla) che aveva dato il suo nome al primo nucleo di quella che sarebbe stata la città di Napoli.
Napoli è una delle città più antiche d’occidente, le sue memorie risalgono al IX secolo a.C., quando approdarono sull’isolotto di Megaride (Megharis), dove ora sorge Castel dell’Ovo , i primi coloni greci creando un insediamento, nel IV secolo a. C., chiamato Palepolis, tra l’isolotto, Monte Echia e il leggendario fiume Sebeto. Essi provenivano dall’isola di Rodi portando con loro il culto orientale delle Sirene (esseri mitologici con la testa di donna e il corpo d’uccello e poi rappresentati metà donna e metà pesce) che si diffuse in tutto il sud del Mar Tirreno.Gli scogli delle Sirene, delle quali si parla anche nell’Odissea, sarebbero, secondo la leggenda, quelli di fronte Positano oggi chiamati “Li Galli”, il cui primitivo nome era Sirenusse (ultimo proprietario fu il ballerino Rudolf Nuraiev), così le origini di Napoli si intrecciano con la storia, la leggenda ed il mito di Ulisse, la terra Campana è indissolubilmente legata al nome di Omero, e dello stesso Ulisse, delle cui più memorabili avventure è stata teatro.
Nella centralissima Piazza San Domenico, in cui sorge il celebre palazzo di Sangro dei Principi di Sansevero, si sente ancora l'eco di fantasmi leggendari.
Sono i fantasmi appartenuti a Maria d'Avalos e al principe Raimondo di Sangro
Il fantasma di Maria D'Avalos
A Napoli tutti erano a conoscenza della tresca tra la bella Maria e Fabrizio Carafa duca D'Adria. Lei è Maria D'Avalos legittima consorte di Carlo Gesualdo principe di Venosa, famoso madrigalista, innamoratissimo della splendida ma irrequieta Maria. La nobiltà sussurra, il popolo commenta, con divertita indulgenza, l'audacia dei clandestini amanti. Ma l'amore rende ciechi. Don Carlo per qualche tempo non vede o non vuole vedere quel che gli succede intorno. La passione tra i due giovani amanti cresce ogni giorno di piu', e presto anche la prudenza viene messa da parte. Tutti vedono. Tutti sanno. E' il 17 ottobre 1590, Maria D'Avalos e Fabrizio Carafa, quando in una delle stanze del celebre palazzo S. Severo, rinnovano, ancora una volta, l’eterno incantesimo dell’amore. E Don Carlo, spalancata la porta di casa, sorprende i due amanti avvinti sul talamo. Il principe non partecipa materialmente all'uccisione e rimane nell'anticamera; solo quando tutto fu compiuto dai suoi sicari, si accanisce col suo pugnale, si getta su quei due corpi nudi, colpisce accecato dall'odio e dalla passione, e.... ancora, ancora, e .... ancora. I corpi straziati e nudi degli amanti furono esposti sul portone di casa, per mostrare alla città che l'onore del principe di Venosa era salvo. Da allora, nelle notti senza luna, l'ombra evanescente della bella Maria vaga tra l'obelisco di S. Domenico Maggiore ed il portale del palazzo di S. Severo. Intorno alla piazza, a quella vetusta dimora che fu teatro d'amore e di passione, di vendetta e di morte, il suo incedere sembra riecheggiare per gli oscuri vicoli circostanti i versi ispirati al Tasso dalla sua tragica vicenda:
"Piangete o Grazie, e voi piangete Amori, feri trofei di morte, e fere spoglie di bella coppia cui n'invidia e toglie, e negre pompe e tenebrosi orrori... …la bella e irrequieta Maria. ...
La vita per Carlo Gesualdo fu certamente molto dura. Fu colpito da sofferenze e da perdite molto dolorose, come la morte dei due figli Alfonsino ed Emanuele. Dopo 17 anni di tormento e di dolore, si lasciò morire nel 1613. Il suo corpo riposa a Napoli nella Chiesa del Gesù Nuovo.
Raimondo Di Sangro, Principe di San Severo
Centocinquant'anni più tardi, lo stabile fu acquistato dall'alchimista Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Dei tanti Principi di San Severo vissuti a Napoli il più vivo nella fantasia popolare è sicuramente Raimondo, un personaggio davvero sorprendente vissuto nel XVIII secolo e più precisamente tra il 1710 e il 1771. Di lui si è detto che fu naturalista, filosofo, astronomo, poeta, scrittore, soldato, mecenate. Una personalità poliedrica, entrò a far parte della confraternita dei Rosa-Croce, dove venne iniziato agli antichi riti alchemici. Egli amava praticare di persona ogni genere di esperimenti. ...di notte non era raro vedere strani fumi colorati o sentire odori particolari, da qui l’appellativo di stregone, che gli attribuì il popolo napoletano. Raimondo Di Sangro affermava di aver inventato una lampada perpetua; e qualcuno ritiene che avesse realizzato una carrozza che poteva muoversi per brevi tratti senza bisogno di cavalli. Inoltre Di Sangro progettò una sorta di carrozza anfibia in grado di attraversare gli specchi d'acqua. In particolare il principe Raimondo era affascinato dall'anatomia e dalla fisiologia del corpo umano. Ancora di più, voleva trovare il modo di diventare immortale. Fu così che arrivò alla creazione di un prodotto dalla composizione misteriosa, che nelle intenzioni dei principe sarebbe stato addirittura in grado di resuscitare i morti. Narra la leggenda che Raimondo, dopo aver ordinato ad un servo di fare a pezzi il suo cadavere e di riporlo in un baule, decise il momento della propria dipartita ed assunse la misteriosa sostanza. Il corpo dei principe avrebbe dovuto rimanere nel baule per un certo periodo di tempo, dopodiché egli sarebbe tornato in vita. Ma i familiari del principe, venuti a sapere dell'esistenza del baule e credendo che in esso si celasse un favoloso tesoro, si fecero prendere dall'avidità. Il baule fu aperto anzitempo. Lo spettacolo che ne segui è degno di un film dell'orrore. Era di nuovo "vivo", ma il processo di saldatura degli arti non aveva potuto completarsi, e il principe era divenuto una creatura orripilante e grottesca. In mezzo al terrore dei presenti, ciò che era stato Raimondo di Sangro urlò e si accasciò nuovamente nel baule, cadendo a pezzi. Di fatto, morì una seconda volta definitivamente.
Nella stessa piazza c’è la famosa Cappella Sansevero.
La Cappella Sansevero dei Sangro racchiude le spoglie dei membri della famiglia e si trova in Piazza San Domenico Maggiore in via Francesco de Sanctis n. 17. Tra il 1744 e il 1766, quella che in origine era una semplice chiesetta, divenne con Raimondo uno dei luoghi più misteriosi di Napoli. Egli chiamò presso di sé i più rinomati scultori e pittori perché dessero vita a un progetto tutto particolare. Gli artisti che lavorarono nella cappella seguirono le precise istruzioni del principe e riferirono che egli fornì strani colori e un tipo di mastice che una volta asciutto assomigliava in tutto e per tutto al marmo. Il risultato è un piccolo gioiello del tardo barocco con statue, stucchi, marmi e oro. Ogni cosa ha un suo preciso significato, le statue che sono quasi tutte femminili, lanciano il loro messaggio attraverso i vari oggetti che tengono in mano o che giacciono ai loro piedi. Libri, compassi, fiori, cornucopie, caducei fiammelle e cuori. La statua dedicata alla madre è "La Pudicizia"di A. Corradini e rappresenta una donna nuda coperta da un velo. Osservando questo velo scolpito si ha l’impressione che sia stato steso solo in seguito al completamento del corpo di donna. Il monumento funebre dedicato al padre, Antonio di Sangro, è "Il Disinganno" di F. di G. Sammartino, una scultura che lascia il segno per il suo eccezionale realismo. Sia il velo che la rete fanno pensare all’uso di quel mastice-marmo descritto dagli artisti che lavorarono al restauro della Cappella. Forse è vero che il principe aveva creato un materiale estremamente malleabile che una volta asciutto diventava uguale al marmo. Oppure, un liquido capace di cristallizzare qualsiasi materia rendendola simile al marmo. Materiali di natura alchemica? Può essere!
Un discorso a parte merita “Il Cristo velato” di Giuseppe Sanmartino (1753). Si trova nella cappella di San Severo e solo questa scultura meriterebbe un viaggio in quella città: prodigio di incontri e scontri depositati fin dentro le ossa di quelle vie, di quelle persone, di quei luoghi mitici e martirizzati. Antonio Canova era disposto a pagare un prezzo altissimo ( dieci anni della sua vita) pur di averla, pur che fosse riconosciuta sua, opera delle sue mani. Fu Raimondo di Sangro a commissionare l’opera al giovane scultore napoletano, che tenne in poco conto il precedente bozzetto in argilla del Corradini. La magia della trasparenza rivela la turgidità delle vene, come se la marmoreicità del rigor mortis fosse una cosa superabile, trattabile, o fosse un dolore, una tormentata presenza che affonda nelle mani e un respiro faticoso dentro il corpo vivo, ancora parte del mo(n)do dei vivi. Ciò che dovrebbe essere coperto, la morte, non solo il corpo martoriato di Cristo, viene svelato, e letto attraverso quel lino vivo, respiro del tutto, sconfiggendo così la tenebra e la paura di un altrove oscuro che non c’è. 'O munaciello
Molte sono le le leggende popolari e i detti popolani sul personaggio più imprevedibile e strano di Napoli, ‘o munaciello. Il personaggio è esoterico ed è temuto dal popolo per i suoi dispetti ma è anche amato perché a volte fa sorprese gradite che sollevano anche economicamente la situazione di una famiglia. Egli si manifesta come un vecchio-bambino che indossa il saio dei trovatelli, che venivano ospitati nei conventi. Amante delle donne, leggermente vizioso, è solito palpare le ragazze belle ed in cambio di questo e/o dello spavento che il suo aspetto scheletrico procura a chi lo incontra lascia delle monete. La tradizione narra che il nome fu dato nel Cinquecento ad un fanciullo trovatello malaticcio, morto in giovane età famoso per la sua vivacità. Secondo gli occultisti la storia di questo fanciullo è pura invensione del popolo che volle assegnare aspetti benevoli ad un individuo demoniaco. Infatti secondo la teoria esoterica il munaciello non era altro che una presenza demoniaca del male che, ricorrendo a doni, in realtà ingannava le vittime cercava di comprare l’anima. Il popolo ha però esorcizzato la paura e ancora oggi aspetta la visita de ‘0 munaciello che può lasciare del denaro inaspettatamente senza chiedere nulla in cambio. La “storia” delle origini del Munaciello Verso il 1445, epoca in cui Napoli era governata dagli Aragonesi, Caterine Frezza, figlia di un ricco mercante, s’innamorò di un bellissimo giovane garzone, Stefano Mariconda. L’amore fu contrastato dal padre di lei tanto che un giorno il ragazzo fu trovato morto nel luogo dove era solito incontrare Caterina. La fanciulla si ritirò in convento dove diede alla luce un bimbo deforme. Le suore lo accudirono e gli cucivano vestiti monacali con un cappuccio per nasconderne le deformità. Quando usciva dal convento il popolo cominciò a chiamarlo “lu munaciello”. Col passar degli anni gli furono attribuiti poteri magici tanto da farlo divenire una leggenda. Un’altra storia sull’origine del nome si riferisce ad un gestore dei pozzi d’acqua che, per questo motivo, poteva accedere facilmente nelle case attraversando i cunicoli che servivano per calare i secchi. Quando non veniva pagato per i suoi servizi egli si vendicava facendo dei dispetti agli abitanti della casa. ‘A bella ‘Mbriana Il personaggio indicato come 'A Bella 'Mbriana, invece, rappresenta lo spirito benigno. E' una sorta di anti-munaciello. Avere questa presenza nelle case significa benessere e salute. E' rappresentata come una bella donna molto ben vestita paragonabile alla fata delle favole dei bambini. E' anche detta Meriana oppure 'Mmeriana. La derivazione etimologica proviene dal latino meridiana il cui mariana indica l'ombra quasi a rappresentare un'ombra sotto cui ripararsi oppure indica il significato etereo dell'essere. A testimonianza dell'affetto dei napoletani verso questa figura, e' molto comune a Napoli il cognome Imbriani derivante, appunto, da 'Mbriana. Ultimo dettaglio importante: nella casa bisogna sempre lasciare una sedia libera perche' potrebbe entrare 'A bella 'Mbriana e sedersi per riposare. Se tutte le sedie fossero occupate la nostra Amica potrebbe andare via con tutte le sciagure derivanti dalla mancata ospitalita'! Il Gioco del Lotto Per quanto possa sembrare strano, il lotto a Napoli fu introdotto in tarda epoca rispetto ad altre città (Venezia dal 1590, Genova), o altre nazioni (in Francia nel 1539). Infatti solo a partire dal 1682 i napoletani poterono giocare senza puntare su ruote di altre città, anche se le scommesse a Napoli erano presenti senza le autorizzazoni governative. Condannato dalla Chiesa come peccaminoso, fu abolito dopo il terremoto del 1688 poiche' si pensava che fosse venuto quale punizione ai vizi dei napoletani. Ma la gente di Napoli continuò giocare nelle altre città. Cio' costrinse Carlo Borromeo, contro la sua volonta', a reintrodurre il lotto. La Chesa ed il regno in più di un'occasione tentarono l'abolizione totale del gioco (si va da Alessandro VII a Clemente XII a Carlo III a Giuseppe Garibaldi che lo abolì nel 1860) che veniva puntualmente ripristinato per motivi finanziari poiche' parte delle giocate andava nelle loro casse. Le entrate erano talmente necessarie alla sopravvivenza del regno che le giocate annuali da due passarono a nove e poi a diciotto fino ad arrivare al 1817 quando si decise di effettuarle ogni Sabato, questo anche per contrastare le giocate del lotto clandestino tutt'oggi ancora presente. Anche gli ambienti intellettuali erano contrari al lotto. Ci sono scritti di Goudar (1775) in cui condanna il lotto come fonte di arricchimento dello stato a spese del cittadino. Giustino Fortunato condanna il lotto definendolo "la rovina economica e la corruzione morale della plebe". Addirittura Matilde Serao scrive racconti e romanzi sullo stato di miseria che conduce il gioco del lotto. Comunque sia il lotto resta una delle ragioni per cui Napoli e' una citta', che del mistero e della superstizione, ne fa una delle sue piu' originali caratteristiche. Il corno Varie sono le notizie sull’epoca e sulle modalità d’uso del corno: · Intorno al 3500 a.C., età neolitica, gli abitanti delle capanne erano soliti appendere sull’uscio della porta un corno, simbolo di fertilità. La fertilità, allora, era abbinata alla potenza e quindi al successo. Si era soliti offrire dei corni come voto alla dea Iside affinchè assistesse gli animali nella procreazione.
Il corno è il referente apotropaico (allontanante) per antonomasia: simbolo della vita, che allontana un’influenza magica maligna. Secondo la scaramanzia napoletana il corno deve essere un dono quindi per portare fortuna non deve essere comprato, inoltre deve essere: rigido, cavo all’interno, a forma sinusoidale e a punta.
Il Miracolo di San Gennaro
Si è perpetuato fino ai giorni nostri e si rinnova due volte l'anno, per la maggior gloria della città di Napoli e la maggior confusione degli atei. I fedeli che si sono affidati e che si affidano al momento cratofanico del sangue che si scioglie sono stati salvati dalla fame, dalla peste, dalla lava del Vesuvio, dai terremoti e saranno salvati dalle malattie dai momenti critici e da ogni stato di trascendenza irrelata. Il Santo a cui le cosiddette ‘’parenti di S Gennaro’’ rivolgono preghiere di protezione, difesa e consolazione è presente e vivo “ Potenzia di S Gennaro, pruteggetece, Sangue di S Gennaro, defendetece”. San Gennaro non sarebbe esistito senza Napoli, né Napoli potrebbe esistere senza San Gennaro. I Normanni hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha scacciati. Gli Svevi hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha scacciati. Gli Aragonesi hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha puniti. Gli Angioini hanno regnato su Napoli, ma San Gennaro li ha scacciati. Gli Spagnoli hanno tiranneggiato su Napoli, ma San Gennaro li ha battuti. Infine i Francesi hanno occupato Napoli, ma San Gennaro li ha messi alla porta.
Ritornando a San Gennaro pare che quello del sangue che da solido diventi liquido non sia l’unico evento miracoloso attribuito al santo: la Passione Vaticana descrive di un ordine da parte del prefetto Timoteo di uccidere, durante le spietate persecuzioni di Diocleziano, Gennaro per il suo ostinato rifiuto a rinnegare la fede cristiana, ma le lame dei coltelli dei carnefici, pur attraversandogli il corpo, non gli provocarono alcun male. La Passione Vaticana inoltre ricorda il tentativo dello stesso Timoteo di dare Gennaro in pasto alle belve ma ancora una volta il prefetto venne sconfitto perché introdotte dell’arena, di Pozzuoli, le belve divennero mansuete: un orso si avvicinò allora vescovo di Benevento che lo benedisse e lo accarezzò. Sono passati secoli e secoli dal 19 settembre 305, giorno in cui nei pressi della solfatara di Pozzuoli avvenne la decollazione di San Gennaro: la lama del carnefice con un colpo secco recise il capo del martire. Una donna pietosa furtivamente ne raccolse il sangue in due ampolle di vetro per farne oggi una reliquia oggi celebre in tutto il mondo, conservata , dopo varie traslazioni nella cappella del Tesoro in Duomo. Nel 431 in occasione del trasferimento delle requie del Santo da Pozzuoli a Napoli un'altra donna presentò al vescovo ed altri rappresentanti dell’alto clero le due ampolle contenenti il sangue coagulato del martire. Il sangue quasi per attestare la veridicità della donna , si liquefece all’improvviso sotto gli occhi dei presenti e di una folla accorsa gridando al miracolo. Ciò come già detto si ripete due volte l’anno.
Questi alcuni esempi delle tradizioni, miti e leggende che si raccontano, ma è inutile dire che Napoli è anche città di musica e di teatro. Nel settecento la scuola napoletana portò in tutta Europa in auge l'opera buffa con Scarlatti, Pergolesi, Jommelli, Cimarosa. Il Teatro San Carlo, fra i più importanti in Italia, fu diretto da Gioacchino Rossini. Famosissima in tutto il mondo è anche la canzone napoletana, che, nata sulla fine dell'ottocento sullo schema della canzone da salotto, ha reso immortali i temi de “'O sole mio”, “Torna a Surriento”, “Funiculì funiculà”e tante altre e rappresenta l'immagine della canzone popolare italiana nel mondo.
Qui nacque Enrico Caruso, probabilmente il più celebre tenore del novecento.
‘O sole mio
Giovanni Capurro giornalista e redattore delle pagine culturali del quotidiano "Roma"di Napoli, nel 1898 scrisse i versi della canzone affidandone la composizione musicale a Eduardo Di Capua. In quel tempo Di Capua si trovava ad Odessa, in Ucraina, con suo padre violinista in un'orchestra. La musica sembra sia stata ispirata da una splendida alba sul Mar Nero; il brano venne poi presentato a Napoli ad un concorso musicale promosso dall'editore Bideri ma senza ottenere grande successo ed arrivando seconda, ma in seguito si diffuse sempre più - anche fuori dall'Italia - fino a diventare un vero e proprio patrimonio della musica mondiale. 'O sole mio è una delle canzoni più famose di tutti i tempi, ma non fruttò molto ai suoi due autori, Di Capua e Capurro, che morirono in povertà negli anni '20. In compenso, la casa di edizioni musicali Bideri continua a percepire le royalties del pezzo che - nonostante sia passato più di un secolo dalla registrazione - non è ancora divenuto di pubblico dominio grazie a un escamotage legale.
Torna a Surriento
A molti sembrera' strano, ma questa canzone e' dedicata ad un uomo. Questi sono i fatti. Nel Settembre del 1902 il Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli si reco' in visita ufficiale a Sorrento. Prese alloggio nell'albergo in cui lavorava come pittore e affreschista Giambattista De Curtis. A quei tempi la situazione a Sorrento era catastrofica. Strade sconnesse, case diroccate, servizi inesistenti. Per invogliare il Presidente Zanardelli a fare qualcosa ed al piu' presto, i De Curtis (Giambattista ed Ernesto) gli dedicarono questa canzone (scritta in poche ore, ma modificata poco dopo nella versione attuale) per esortarlo a ritornare a ricostruzione avvenuta e godersi le bellezze di Sorrento. Da allora e' diventata una delle canzoni napoletane piu' conosciute nel mondo. Funiculì funiculàTutti sanno che i versi di questa canzone sono ispirati dalla funicolare che fu aperta nel 1880 e che portava turisti fino alla bocca del cratere. Il progetto fu ideato circa dieci anni prima da E.E.Oblieght che, ottenuti i permessi, diede incarico di realizzarla all'ingegner Olivieri di Milano. Ultimata la costruzione e passati i primi momenti di entusiasmo dopo l'inaugurazione, accadde qualcosa che forse nessuno aveva previsto: la funicolare non veniva utilizzata. I turisti preferivano salire le pendici del vulcano con i vecchi metodi, con somari o portantini, perche' era piu' romantico. I gestori dell'impianto, la compagnia Cook, penso' che solo il fascino di una canzone ben fatta avrebbe potuto avvicinare i turisti ed i napoletani alla funicolare. L'occasione fu di presentarla alla festa di Piedigrotta di quello stesso anno. Gli autori, Turco per il testo e Denza per la musica, impiegarono solo poche ore per comporre Funiculì funiculà. La canzone fu la piu' cantata a Piedigrotta ed ottenne il risultato sperato e non solo. Con Funiculì funiculà inizia quello che sara' il periodo d'oro della canzone napoletana nel mondo. Dopo la terza distruzione avvenuta nel 1944, la funivia non fu piu' ricostruita ma sostituita con una seggiovia che oggi è in disuso.
Ho voluto dare questo contributo sulla mia città che esula un po’ dalle normali informazioni paesaggistiche che, d’altronde, si trovano un po’ ovunque.
Spero solo che non mi sia dilungata molto, ma ci tenevo!!!!! Grazie!!!!!
Rosaria, che bel servizio su Napoli. C’è non soltanto da apprendere e capire, ma molto da amare: la storia, le tradizioni, i luoghi, le canzoni di questa splendida città che è Napoli, Napule, Partenope. Non solo una città incantevole ma generosa, laboriosa, con un popolo pieno di cuore e amore.
Grazie Rosaria
sono stato a Napoli varie volte e l’ho trovata una città stupenda. Sai che ho visitato il museo di San Martino, quello di Capodimonte e il museoi Nazionale: Tutto bellissimo, ma dopo la descrizione, molto accorata, da te fatta so ora per certo che dovrò tornarvi. Lo farò verso la metà di luglio quando andrò anche a Capri per andare su in Anacapri, come già mi hai consigliato.
Grazie.
Grazie Rosaria per tutto ciò che scrivi, mi piace molto e ne farò tesoro. Descrivi la tua città col cuore ed è molto bello.
La simpatica vicenda di “Tuorna a Surriento” è affascinante. Complimenti e un abbraccio.
Rosaria sei sempre la migliore, descrivi i luoghi con dovizia di particolari, sembra di viaggiare in un mondo fantastico. Tu sei molto brava nelle descrizioni e ci lasci a bocca aperta.
Ti ringrazio per quanto fai per rendere Eldy sempre più speciale e adorabile. A presto con saluti a te e ai tuoi. Ciao mia cara amica.
rosaria ,sono di poche parole ma voglio farti i miei complimenti,napoli merita tutto questo,è troppo bella x quel poco che la conosco
Franci, ti ringrazio, ma soprattutto ti aspetto x farti da cicerone, questo è solo un assaggio di quello che c’è da vedere.
grazie Rosaria di tante, belle enteressanti informazioni turistiche, artistiche e storiche riguardanti la bella Napoli………certo quella Maria, poveretta, che brutta fine ma l’amor si sa……supera ogni ostacolo e la gelosia puo’ portare anche all’estremo gesto. Bellissimi i versi del Tasso….di bella coppia cui n’invidia e toglie……..mi sovvien d’altro amore altrettanto passionale e tragico….ah amor che nullo amato amar perdona …come direbbe il Sommo….
Aspettami Rosaria, presto partiro’ per Napoli e tu mi farai da cicerone. Ciao
ROSARIA!!!!!!!! sei grande, caspita che lavoro che hai fatto!!!!!!Una ricerca preziosa specie per me che a Napoli non ci sono mai stata, mi affascina la tua città !!!!! Brava complimenti vivissimi ciaoo