I pittori italiani, e primi fra gli altri alcuni giovani napoletani, sentivano il bisogno di un’aria nuova, per loro non era più soddisfacente la concezione accademica della pittura e quindi lentamente ma decisamente iniziarono a staccarsi da quel periodo. Sentivano l’esigenza di approdare a una un modo di dipingere moderno e alla scelta di soggetti completamente diversi da quelli del periodo precedente.
Erano i primi sintomi di quel grande movimento romantico che veniva dall’Europa e che voleva far prevalere il sentimento sulla ragione, che contro la concezione neoclassica vedeva l’arte come il prodotto del sentimento dell’artista.
Nell’Italia meridionale invece avvenne un fenomeno lievemente diverso. Pur dietro questo nuovo modo di sentire, distanziandosi in parte dai soggetti di tipo romantico i pittori si rivolsero verso la realtà, su carta o su tela volevano esprimere e riportare il vero e niente poteva farlo meglio del paesaggio.
Fu per questi motivi che nacque a Napoli, più che altrove, una scuola di pittura che potremmo definire “realistica” alla cui nascita portarono il loro contributo anche artisti di quasi tutte le zone del meridione.
Nelle opere di quegli artisti, (come dice il Lavagnino in “Arte Moderna” – Dai Neoclassici ai contemporanei – Ed. UTET), “le qualità essenziali di quella pittura vanno ricercate ……………………………… nella commossa, felice adesione alla realtà della vita e alla schiettezza della natura. Così che nell'opera loro riconosci di continuo il senso di un calore umano soffuso di sincero lirismo, per cui presto decadono nella pittura napoletana della metà del secolo gli stessi sedimenti del convenzionalismo accademico e pseudoromantico per dar luogo ad una caratteristica spontaneità espressiva”.
A Napoli quindi, capitale borbonica, la scuola di Posillipo, cosiddetta perché gli aderenti si radunavano a Posillipo, raccolse un gran numero di pittori meridionali e divento un polo importante di arte pittorica la cui produzione estremamente moderna si differenziava molto dalle scuole di quel tempo per originalità degli indirizzi e indole delle ricerche.
La scuola napoletana prima e i “Macchiaioli” toscani immediatamente dopo abbandonarono le correnti del passato dettero un carattere fortemente veristico alla pittura italiana dell’ottocento.
La scuola di Posillipo raduna una schiera di vedutisti napoletani che a partire dal secondo decennio dell'Ottocento fino alla metà del secolo elaborarono una sorta di vedutismo realistico, vivace, preciso nella resa pittorica privo di incrinature di convenzionalismo e di retorica, che con il suo capofila, Giacinto Gigante, fu come se “un colpo di vento avesse spalancato sul bel golfo una finestra rimasta chiusa per troppo tempo” (Argentieri).
Tradizionalmente si è voluto vedere il maestro e l'iniziatore della Scuola di P. nell'olandese Anton Sminck van Pitloo (1790-1837), che si era stabilito a Napoli nel 1816 e che fu insegnante di paesaggio dell'Accademia napoletana dal 1824; si è esagerato tuttavia il suo valore e la sua portata storica. Il suo
vedutismo spicciolo e commerciale è derivato da alcuni precursori del paesaggio romantico inglese. Le sue opere più graziose nascono soprattutto dall'incontro con Bonington, Turner e Corot a Napoli tra il 1823 e il 1825.
Gli altri artisti che con Pitloo vengono classificati nella Scuola di P. sono: Luigi e Salvatore Pergola, Raffaele Carelli, Achille Vianelli e Giacinto Gigante, seguiti poi da Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère e Gonsalvo Carelli.
Rappresentante di rilievo fu anche Filippo Palizzi (Vasto 1818-Napoli 1899) che con le sue opere segnò l’inizio del realismo pittorico in Italia.
Domenico Morelli (Napoli 1823-1901) meriterebbe una trattazione a parte. Egli diceva circa il suo modo ideale di vedere la pittura: “Io sentivo che l’arte era di rappresentare figure e cose non viste, ma immaginarie e vere ad un tempo”.
Il rappresentante più illustre del gruppo fu però certamente Giacinto Gigante (Napoli, 1806-ivi, 1876) per impeto di trasfigurazione luminosa e per l'austerità della materia pittorica rarefatta.
Ancora oggi molti pittori usano dipingere tavolette a tempera e acquerello per venderle ai turisti stranieri, si trovano dappertutto nelle città d’arte e nei posti che richiamano frotte di visitatori. Lo stesso facevano i pittori napoletani che cedevano i loro lavori ai turisti innamorati della città, del golfo e del suo mitico fascino.
Giacinto Gigante fu anche, oltre che sommo artista, uno di questi artigiani del pennello, certamente più bravo e più ispirato dei colleghi, e lasciò in questa attività minore una produzione vertiginosa di ben duemila pezzi.
Avviato alla pittura dal padre Gaetano, modestissimo erede della tradizione settecentesca, è la figura di gran lunga più interessante della cosiddetta «scuola di Posillipo » che, liberandosi dall'eredità accademica del paesaggio scenografico, iniziò in Italia la consuetudine della pittura all'aria aperta.
A. S. van Pitloo lo portò a dipingere all'aria aperta e gli insegnò con l'esempio a cogliere l'ispirazione dall'immediato e affettuoso contatto con la natura. La sua pittura rivela una intima e lirica essenza ed è permeata da leggerezza ariosa e fluidità pittorica che sono tipiche del G. già nelle sue opere giovanili.
Tranne un soggiorno di sei mesi a Roma (1826), dove forse vide qualche studio del Corot, egli attinse unicamente gli esempi che gli si offrivano a Napoli, oltre che dal Pitloo che si è detto prima, dal Turner, che fu a Napoli nel 1823; e Bonington, che vi passò l'anno dopo. Della foltissima produzione, più di duemila fra bozzetti a olio, acquerelli, disegni, resta valido un gruppo di centocinquanta o duecento paesaggi, specialmente acquerelli, che rivelano una fresca vena di colorista spigliato e fantasioso, attento e talvolta lirico interprete delle modulazioni luminose e dei valori atmosferici (raccolta del museo di S. Martino, Napoli, e le notissime Bagnanti, Galleria Banco di Napoli).
Durante il suo soggiorno di sei mesi a Roma nel '26 dipinse alcune vedute (Colosseo, Campo Vaccino) che già preludono al suo modo più caratteristico di dipingere con «addensate masse argentee e calcinose contro cieli grigi e azzurri o il bruno di muraglie e di rocce, o il verde degli alberi» (Lavagnino).
Di ritorno a Napoli, con quelle composizioni spesso di piccole dimensioni dove la luce diviene autentica protagonista, ripropone il paesaggio col variare delle sue intonazioni e dei suoi accenti, ora felici, ora tragici. Ed è appunto questa capacità di rivivere emotivamente il paesaggio e di farne una visione dell'anima che fanno di Gigante un autentico pittore romantico.
BIBL. – E. LAVAGNINO, L'arte moderna. I, Torino, 1956, ristampa, ivi,1961 ;
A. SCHETTINI, G. G., Napoli, 1956.
C. MALTESE, Storia dell'arte in Italia 1785-1943, ivi, 1960.
FLAVIO.46
Flavio, come forse ti avro’ già accennato, non sono un’appassionata d’arte, ma questa corrente pittorica (forse xche’ è nata in un posto a me vicino) la conosco un pochino e poi i maggiori esponenti hanno dato nome a varie strade di Napoli. Tutto questo x dire che comunque, con la tua appassionata dissertazione sull’argomento, hai destato in me un maggiore interesse sull’argomento.
Grazie Flavio, per il bel saggio e per le interessantissime informazioni. Stai diventando un ottimo cronista d’arte.