Dolore per un amico malato
che rischia la vita e dispera.
E’ un bel dire che tutto andrà bene.
Mentre parli sai di mentire.
La verità è che, come lui, attendi
un segnale, una voce dal cielo.
Ma il segnale, la voce, arriverà?
O è un semplice augurio del cuore?
Ho parlato a me stesso e comprendo
che l’impotenza è davvero sovrana.
Alla fine tu dici: lottiamo!
Senza lotta decisa, totale,
certo giunge un verdetto fatale.
Ma se neanche una lotta convinta,
fiducia entusiasta, amor della vita
riesce a cambiare un destino?
Che fare? Acceleriamo la fine?
Perdiamo la voglia ? Usciamo dal mondo?
Che cambia? Una vita disperata
è di meno di una vita ammalata.
Sai che ti dico, amico mio?
Chiacchieriamo, discutiamo
sul destino riservato a noi mortali.
Polvere siamo, polvere ritorneremo.
E nella casistica generale
un po’ tutti stiamo nella precarietà.
Se si pensa ad un incidente,
esso capita immantinente,
a quale che sia l’età,
e non resta che un pianto dirotto.
Meglio è allora una fine preannunciata,
peraltro solo possibile, ancora non giunta,
per contrastare la quale occorre lottare.
Il problema è che la lotta presuppone
un obiettivo. Perché lottare?
Per mantenere le quattro ossa?
La propria carcassa? In verità noi siamo
quel che facciamo. Siamo le relazioni
che ci siamo costruiti in vita e che
in morte siamo costretti a lasciare.
La lotta dà qualche possibilità
se qualcosa o qualcuno, perdendoci,
piangerà. Se lasciamo equilibri difficili
senza di noi. E in questa vicenda
i semplici affetti non bastano.
I padri, le madri, comunque morranno.
E i loro figli non hanno diritti in più.
Non succede così dappertutto?
Nella corsa della vita c’è un principio
e una fine, frutto spesso di fatalità.
Forse, spinti da un dolore rinnovato,
è bene riconoscerlo senza resistenza,
o rimpianto, o dolore. Ci si domanda:
Perché Signore a me? Una risposta
più giusta mai non ci fu se non quella
classica: E perché non a te? Rimane,
peraltro, in primo piano la sorte
dell’ interessato, della vittima designata.
E allora perché non riconoscere,
che vittime tutti lo siamo ?
E che i quesiti di fondo sono legati
al ruolo che abbiamo assolto,
alle azioni che abbiamo compiuto,
agli affetti che abbiamo suscitato,
agli investimenti che abbiamo effettuato,
in particolar modo a favore del prossimo,
che non comprende soltanto il nostro
particolare, ma che si amplia a tutti
quelli che abbiamo aiutato, sostenuto,
ai quali abbiamo voluto bene.
Questo è il film che scorrerà
nel nostro pensiero. Allora non ci sarà
tempo per disperazioni, per il dispiacere
dell’abbandono, per i pianti che non
riscaldano il cuore. Se siamo nel vuoto
dell’imponderabile e del fatale, se tutto
può succedere ora e qui, prepariamoci
a lasciare la terra coscienti e non
disperanti. La nostra avventura in questa
valle è così. Prendiamone atto fratelli.
Tanto si sa. Bene che vada
solo il ricordo rimarrà. Il ricordo e,
speriamo, il rimpianto per quanto di buono
siamo stati capaci di fare. C’è poi la fede.
Ma essa non dà sicurezza a chi non ce l’ha.
Soltanto chi crede non la ritiene fatalità.
Ma si può dire, è giusto dire, alla gente:
Credi, amico, credi che ti converrà ?
Si possono fare dei patti con la dignità
di ognuno? Di qualcuno, per giunta, morente?
Perciò, amico mio malato, nulla d’altro
ti dico. Combattiamo insieme.
Tocchiamoci fisicamente. Stiamo
vicini. Diamoci la mano, oggi e domani.
Fino a quando sarà. Facciamo un comune
cammino. Per quanto, mai lo sapremo
se non vivendolo, occupandoci di cose
concrete. Lottando, anche, ma senza
disperazione. Nel nostro piccolo, coraggio!
Vivremo un frammento, un margine di felicità.
è bellissima… un sentimento profondo! lorenzo……………… il tuo brano è corretto, sensibile e commovente, grazie!
Grazie Giampietro. La fede, grande speranza, ci spinge ad essere sereni e coscienti dei doni che verranno se ce li saremo meritati. L’impegno per il nostro prossimo rimane a prescindere da ogni altra valutazione. Il dolore non è disperazione ma riempie di sé e, mentre fortifica l’animo, non può non straziarlo.
lorenzo cone il solito grazie per il tuo narrato corretto, sensibile,e attento ai problemi che ci circondano.toccante e con realismo quanto scrivi, la porta accanto con l’amico, in lui vedi paura e speranza, nei suoi occhi, le parole sono difficili perchè………perchè lui sa e tu con lui! quando viene il momento del distacco diventa trieste ed è inquietudine per quello che rimane! Pensiamo solo a chi non ha la porta accanto in quanto ci vive dentro e anche lui aspetta.Ci consola la fede perchè attraverso la sofferenza c’è la gioia ma questa gioia è il dono della vita eterna! grazi lorenzo con affetto giampietro
Sì Giulio, è proprio l’indifferenza il male peggiore. Se poi riflettiamo, l’indifferenza è legata profondamente alla sopravvalutazione di sé. I problemi degli altri, le malattie, fino a quando non le tocchiamo con mano non ci interessano. C’è una pubblicità fondata su un messaggio che non sopporto. Non so di quale prodotto di bellezza si parla ma il messaggio è “perché tu vali”. Insopportabile perchè ci mette al centro delle nostre attenzioni. Ma perché valiamo? Che facciamo per valere? Valiamo a prescindere? Eh no!
Grazie Giulio e grazie Giovanna. Siete molto cari.
Per Lorenzorm
Come sempre fai centro amico mio, ti sono grato per i richiami morali che dai, quelli religiosi gli lascio ai credenti.Posso permettermi di aggiungere una citazione che anni fa esclamò un mio amico durante una-Tavola rotonda…- “C’è un male incurabile che tutti conosciamo che distrugge l’essere umano,le famiglie, gli amici.Ma esiste un male ancora più terribile, si chiama -Indifferenza-Questo è il male da sconfiggere. Il solito -maledetto toscano-
bella, intensa e profonda la tua poesia, Lorenzo, e mi conduce a riflettere molto seriamente sull’aspetto del dolore e della comprensione verso il prossimo. Mi auguro di poterne sempre far tesoro. Ti ringrazio.
Ti sono grato delle emozioni che mi hai dato, Titina. Le circostanze di una malattia possono essere infinite ma l’elemento comune è il dolore, che va affrontato nel modo più positivo per chi sta male e facendo prevalere l’affetto e i sentimenti in chi “vuol dare una mano”, spesso senza riuscirci.
Un abbraccio.
Lorenzo, leggere la tua poesia ha riaperto in me una profonda ferita dovuta alla perdita della mia migliore, carissima amica, mia dirimpettaia da 30 anni, x me la sorella che non ho mai avuto, è venuta a mancare il 1^ maggio di quest’anno. E’ vero quello che dici sul sostegno all’amico malato, quante innocue bugie le dicevo sul fatto che la vedevo megliorare, che la ripresa sarebbe stata lunga, ma ce l’avrebbe fatta, anche se tutte e due sapevamo perfettamente qual era la situazione, quante preghiere mormorate vicino a lei che ripeteva le mie parole con un filo di voce, ma con un dolce sorriso, quante volte ad una mia carezza rispondeva stringendomi forte la mano ,come per dirmi grazie. Ora che non c’è più, la voglio ricordare solo nei suoi momenti felici, altrimenti mi viene un magone senza fine. Lorenzo, i tuoi versi hanno suscitato in me emozioni fortissime e mi ritrovo pienamente in ciò che dici, grazie per avermi dato l’opportunità di parlarne.
Lorenzo le tue poesie, sono sempre espressive. La cattiva sorte ci mostra chi sono i veri amici. Uno dei benefici dell’amicizia è sapere a chi confidare un segreto. Un saluto.
Bellissime sono le immagini di Rosaria. Tenerissime. Le sono grato come sempre.
Questa è forse la mia poesia più impegnativa, legata ad un dolore profondo, lancinante. Il dolore si dilata raggiungendo livelli di catarsi impensabili di primo acchito. Lottiamo insieme, dice il poeta infine, e coglieremo un seppur piccolo frammento di felicità.