Ecco un altro bel racconto del nostro Giulio!
L’ho letto appena me lo ha inviato e, come al solito, mi ha subito trascinato nella situazione da lui così bene descritta; mi sono trovata, infatti, immersa, come d’incanto, nella vita quotidiana di un piccolo centro, dove tutti si conoscono e dove tutti concorrono alla creazione di momenti felici e spensierati, anche se, forse, per le persone abituate a vivere in una grande città, ciò non è facilmente immaginabile. E qui subentra la bravura di chi scrive; traspare, infatti, da questo racconto la genuinità e la spontaneità che, forse, ancora oggi si vive nei piccoli centri, dove si è sempre uno accanto all’altro e sempre disponibili l’un per l’altro, sia nei momenti festosi che nei momenti del bisogno. Si arriva, quindi, ad una riflessione molto importante: a volte basta poco per essere uniti e vivere insieme momenti di gioia e di spensieratezza.
Grazie ancora Giulio per questo ennesimo spaccato di vita quotidiana!
Arriva un giorno in cui i ricordi fortunatamente belli affiorano alla memoria. Vivendo in un piccolo paese circondato dalle cime delle Alpi Apuane, sembrerebbe impossibile che l’eco del carnevale, con la sua gioia e colori, valicasse questa naturale barriera. Oggi è facile raggiungere la valle e ritrovarti di botto a Viareggio, molto più difficile quando ero ragazzino:allora c’era solamente la mulattiera e pochi erano coloro che s’ avventuravano in un così lungo viaggio.
E pertanto ci si organizzava nel nostro piccolo paese come si poteva, per portare un po’ di gioia e serenità.
Gedeone, era l’unico ad avere un carretto con le ruote di gomma , ma quanto l’abbiamo pregato pechè ci prestasse il suo attrezzo di lavoro!. E quante serate dedicate al nostro carro!. Tutti lavoravamo di gran lena. La stanchezza? Parola astratta. Solo l’orologio appeso al muro nel fondo di Matteo ci diceva che era l’ora di andare a riposare. Giovà, che aveva frequentato l’istituto d’arte , guidava la ciurma degli artisti:sera dopo sera , vedevamo il carro trasformarsi.
Una volta infiocchettate le sponde, si passava alla parte superiore. Il maestro aveva idee ben chiare e impartiva ordini precisi ai manovali che eseguivano di gran lena e in armonia. Carta, gesso, colla, giornali e finalmente, dopo diversi giorni, la figura possente di un uomo ancora dai lineamenti informi, s’ergeva sul carro. Alle sue spalle , troneggiava l’altalena delle Alpi Apuane.
Una sera, Giovà, ci fece sedere al lato della stanza e incominciò a dipingere: i bambini più piccoli osservavano a bocca aperta. Nessuno immaginava che il pittore, timido e rude, fosse così bravo. Finalmente “Michelangelo” scese dall’impalcatura, rimirò a lungo la sua opera , dette una cappellata al bambino più piccolo gridando: - E’ finito ! Lo chiameremo Il Cavatore ! –
Sul carro, ora, c’era un uomo con una camicia a quadri, le maniche rimboccate, in testa un cappello sgualcito e al collo un fazzoletto annodato. Nelle mani teneva il mazzuolo e lo scalpello, mentre dalle montagne rotolavano cesti di pane dorato. Dalle vette scendevano stelle filanti e coriandoli. Il sudore che colava dalla fronte del cavatore , scendeva a rivoli lungo il volto trasformandosi in palline di cristallo. Sotto i colpi del mazzuolo la montagna s’apriva per donare al cavatore i suoi tesori. Finalmente arrivò la domenica e il carro attraversò la via del paese. Giovà aveva pensato anche alla musica: dal petto del cavatore saliva verso il cielo un canto di allegria.
Le finestre si aprirono, le persone osservavano dai balconi, ma i più scesero in piazza a ballare e saltare. Gedeone guardava preoccupato il suo carretto grattandosi, la testa, poi buttò il berretto gettandosi nella mischia. Dal cielo cominciarono a piovere coriandoli, era Giovà ch’era salito sul tetto della Bianca e li scodellava sulla testa dei festanti. Le maschere più impensate uscirono dai cassetti degli armadi e dalla creatività dei bambini.
Ci s’accorse che anche il prete si era mascherato e ballava e saltava come un capriolo trascinando mamme e figli. Ogni tanto abbracciava anche le donne più giovani. – Datti da fà prete, anco te sei di ciccia ! - Gli gridò Francé.
Anche Lorè lo zoppo, posò il bastone e si mise a ballare. La timidezza scomparve di dosso anche ai più restii. Arrivò anche il vino, Bacco non poteva certamente mancare. Fu il prete a stappare i fiaschi e, nel fare un brindisi, disse ch’era il vino per la messa. -Bravo Don Sughero –gridò qualcuno. Poi riprese il ballo sfrenato fino alle ore piccole .
Pian piano la piazza si svuotò, ognuno ritornò alla propria casa. Il carro rimase in un angolo della piazza. Il Cavatore osservava un punto imprecisato del suo paese ma sembrava che sorridesse compiaciuto. Forse aveva donato alla sua gente un giorno di felicità.
Giovà, fu l’ultimo ad andarsene, ma volle salire ancora una volta sul carro accarezzando la sua opera, poi scese e s’incamminò verso casa. Guardò a lungo il Cavatore come se fosse suo padre. Si prillò una sigaretta e si allontanò sventolando il cappello in segno di saluto, fischiettando l’Inno dei Lavoratori.
Ricordo il Carnevale con gioia. Una manifestazione che ho sempre gradito e a cui ho partecipato spessissimo. E’ vero, si trascorrevano ore e ore per i preparativi dei costumi e del carro ma….chissenefrega! Eravamo contenti di quello che stavamo preparando. Una gioia per noi e una festa per chi ci guardava sfilare. Ricordo anche quando, molti anni fa, andai al carnevale di Viareggio…..lì si che è una grande festa per tutti!
Come ho già detto, con i tuoi racconti, Giulio, si legge……..a scatola chiusa! ☺
bravo giulio proprio un bel racconto.lo ho veramente…vissuto.grazie
Lorenzo, Marcella, Tittati, Pino. Grazie di cuore dei commenti . e grazie naturalmente alle GIORNALAIE DELLA REDAZIONE,…é un tuffo nel passato per ricordare…ma mi gratifica il fatto che, grazie a Eldy, lo posso semplicemente donare .
Caro Giulio,
hai un modo efficace di raccontare le cose, facendo uno spaccato di un giorno di festa in un piccolo borgo italiano, ce le fai rivivere anche oggi che purtroppo ci ritroviamo in realtà diverse.
Sai, Giulio, quando leggo i tuoi racconti, mi sento molto vicina al tuo mondo “di prima” che è stato anche il mio! Tutti i nostri piccoli borghi conservano magiche atmosfere, colori, suoni, voci, profumi legati agli eventi ricorrenti e alla quotidianità che chi li ha vissuti li ricorda con tanta nostalgia! Quanto ai tuoi personaggi, sei uno scrittore caratterista di prima categoria, li presenti e li fai agire in un modo che sembra di vederli! Ok, maledetto toscano, hai colpito ancora, però, mariannacane! non farci aspettare molto per un altro tuo racconto!
Giulio,con il tuo racconto fantastico,questa mattina,mi hai fatto tornare indietro con la mente di qualche anno.
Quando, molti anni fa anni fa,con la mia famiglia ci trasferimmo in un paesino,(dove ci fermammo per tre anni).
Come dimenticare, la complicità adulti e bambini nel costruire i carri,le donne, cucire gli abiti per le maschere, ritagliati da vecchi abiti!!Arrivata la sera dei festeggiamenti,il paese,
era tutto un colore,e non solo…!!!
Purtroppo il carnevale vissuto nelle grandi città,è tutt’altra cosa. Ciao Giulio!!
C’ero anch’io Giulio e non lo sapevo. Ed ero zoppo e non lo sapevo. Ti abbraccio, benedetto.