si miscellanea

giornaleDue storie simili , ma, allo stesso tempo, in antitesi tra loro, che la nostra attenta lettrice Lieta ci propone ancora una volta. logo avvenire

Sono entrambe estrapolate dal quotidiano “L’Avvenire” e riguardano entrambe  “il dono della vita”.  Nella prima si evince l’insoddisfazione e la stanchezza di fronte alle asperità cui  essa spesso ci sottopone  e quindi ci si chiede se sia giusto chiedere a Dio di "privarci della vita"; nella seconda, invece, l’opposto: pregare  affinchè la vita continui.

Leggete e a voi le riflessioni del caso.

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30 luglio

1)  IL DONO DELLA SCONTENTEZZA

SALVATORE MANNUZZU  Cara Madre, è lecito chiedere a Dio di toglierci la vita? Io penso Gli si possa confidare - se davvero ci capita - che non riusciamo più a vivere: e che ci rimettiamo a Lui. Sì, forse a coloro che si sentono allo stremo è permesso raccontarlo a Dio, dicendoGli che non ne possono più e non vedono l’ora che finisca: purché intanto si abbandonino alla Sua volontà («Passi da me questo calice...») Ma la più alta virtù credo consista nell’accettare la vita, quella che è; e più la vita morde e diventa terribile, più si rafforza il merito di chi l’accetta.  L’alternativa è stancarsi di accettarla: accontentandosi magari della propria scontentezza. Senza cercare di ricavarne un bene. Ricordiamo la parabola evangelica dei talenti? La parabola su ciò che ci è stato dato e dobbiamo mettere a frutto altrimenti siamo in peccato? Ecco, uno dei talenti che abbiamo ricevuto, forse il più grande di tutti, è la scontentezza: sì, anche l’infelicità, la disgrazia.  Questo è il dono ultimo e più importante, con la benedizione di Dio. Arrenderci di fronte alla nostra condizione di precarietà senza investirla in vita, senza investirla in domande di senso, è una tentazione fortissima, alla quale non dobbiamo cedere mai (e alla quale, invece, spesso noi cediamo).

 

 2)  LA FORZA DELLA FEDE 29 luglio Il 12 settembre 2009 l’arresto cardiaco e, contro ogni previsione, la vita che riprende in stato vegetativo. Infine dopo mesi il ritorno alla coscienza. I proventi del volume a opere di carità «Così per Caterina abbiamo preso d’assalto il cielo» Nel libro di Socci il coma della figlia e la gioia del risveglio. E’ l’incredibile storia di un mondo unito in preghiera. DI LUCIA BELLASPIGA « La mattina di quel 12 set­tembre ero baldanzoso come un bambino e non sapevo che Caterina, la mia Cateri­na, doveva morire quella sera stes­sa. Era scritto che alle 21,30 sarebbe finito il mondo. Per me. Per sempre. O sarebbe cominciato un nuovo mondo». Inizia così, senza preavvi­so (come la gran parte delle tragedie) la tragedia di Caterina Socci, stu­dentessa 24enne il cui cuore una se­ra senza alcun motivo si stanca di battere. Mancano dodici giorni alla sua laurea e in famiglia la vita sem­bra procedere senza sussulti, addi­rittura gioiosa («Non c’è nessuno più felice al mondo!», afferma quel mat­tino suo padre), tanto che la madre, con il buon senso di tutte le Cas­sandre, sorride allarmata: «Non dir­lo, per carità... Non si sa mai cosa ci riserva la vita». E difatti quella sera di quasi un anno fa «il telefono squil­lò alle 21 ,30 ». Comincia con uno squillo di telefo­no la gran parte delle storie di ra­gazzi (sono migliaia in Italia) che, per un incidente d’auto o uno scher­zo del cuore, cadono in stato vege­tativo. E con la sentenza di medici che non lasciano speranza: «Le han­no tentate tutte per rianimarla, or­mai stanno mollando»... Col suo risveglio Caterina ha con­traddetto la scienza. Poi lo ha rifat­to pronunciando una notte la paro­la della rinascita, «mamma». Ora la battaglia resta lunga e difficile, ogni giorno forse un piccolo progresso, «ma l’unica cosa certa è il lieto fine, perché vince sempre Lui», conclu­de suo padre. «Comunque vada». Anche se Caterina restasse inchio­data per sempre al suo letto, inca­pace più di cantare come faceva u­na volta, di correre o anche solo di vedere. Ferma sempre a dodici gior­ni dalla sua laurea. Parole vertigi­nose, «così pesanti da dire...», ma che grondano dolore e magnificen­za. La lezione, ancora una volta, gli viene da Caterina, che alla scom­parsa di don Giussani aveva scritto l’unica verità: la morte non ha l’ul­tima parola. «Nel mio blog sono entrate 8.000 lettere, anche di non credenti» C’è persino chi, malato terminale, ha dedicato le proprie sofferenze alla sua guarigione, e chi si è offerto al suo posto. Tante le conversioni e le testimonianze di speranza «La cosa che ho imparato? A prendere alla lettera il comandamento di Gesù che ci chiede di importunarlo per essere esauditi. Mi sono fatto mendicante, busserò tutta la vita».
L’immagine di Caterina scelta per illustrare la copertina del libro dedicato alla sua vicenda

L’immagine di Caterina scelta per illustrare la copertina del libro dedicato alla sua vicenda

In “Caterina, diario di un padre nel­la tempesta”  (Rizzoli) Antonio Soc­ci, noto giornalista, racconta il tra­vaglio di questa sua figlia tenera­mente amata, ma è subito evidente che la cronaca del suo calvario è so­lo un pretesto per dire molto di più: di quanto accade nel letto di Cate­rina si sa poco, lo stretto indispen­sabile (dal primo capitolo, quando leggiamo che incredibilmente do­po un’ora e mezza il suo cuore si è rimesso in moto, solo a pagina 189 scopriamo che oggi 'si è svegliata dal coma ed è cosciente'). Caterina non è la protagonista, è l’espedien­te: il perno, il motore immobile in­torno al quale si genera il vero mi­racolo da raccontare. Da quel 12 set­tembre 2009, infatti, un popolo im­menso si è mosso attorno a lei, mi­gliaia di persone che non l’hanno mai conosciuta hanno rivolto una supplica a Dio, hanno camminato accanto a un padre e una madre nel­la tempesta. Più di uno addirittura (e sono le lettere più toccanti) es­sendo malato terminale ha offerto le proprie sofferenze in cambio della guarigione di Caterina, qualcun al­tro i suoi ultimi mesi di vita purché lei riaprisse gli occhi. «Ho chiesto a Gesù di darmi la vostra croce per un po’. Vorrei essere il vostro cireneo», ha osato una madre.

Socci racconta tutto questo con commosso stupore, certo del fatto che il sacrificio di Caterina (e di tan­ti altri figli come lei) è origine e cau­sa di insperate conversioni: «Quale mondo perverso stanno salvando i ragazzi e le ragazze crocifissi in que­sto reparto di rianimazione?». Non vite inutili, dunque, ma «le truppe scelte da Gesù in persona, i temera­ri, gli avventurieri del suo amore sconfinato». All’indomani dell’arresto cardiaco, mentre di ora in ora la paura della morte lascia spazio a un incubo non meno spaventoso, quello di «danni immensi, devastanti, probabilmen­te irrecuperabili», è Socci stesso che chiama a raccolta chiunque possa offrire la forza della preghiera, ma poi la marea monta spontanea: ot­tomila e-mail irrompo­no nel suo blog, gli rac­contano di figli che ce l’hanno fatta contro o­gni previsione dei medi­ci, lo implorano di non cedere, gli offrono la propria preghiera anche di non credenti ('Un giorno, quando potrò, racconterò quante per­sone che si dicono atee o agnostiche, per tene­rezza verso Caterina, in queste ore hanno rico­minciato a pregare', scrive Socci). Ce lo ripete al telefono, seduto accanto a lei: «La mia figlia crocifissa ha convertito tante perso­ne ». E prima di tutti ha convertito lui, fervente cattolico ma «fino a quel 12 settem­bre diverso da oggi». La cosa che ha più imparato in questi mesi «è a prendere alla lettera l’insistenza di Gesù che nel Vangelo ci dice di chie­dere, di importunarlo per essere e­sauditi. Gesù si fa strappare lette­ralmente i miracoli, a iniziare da Ca­na quando a insistere è Maria. Pri­ma io supplicavo, chiedevo grazie, ma in fondo restava sempre un ato­mo di scetticismo, quasi che la pre­ghiera fosse un messaggio in botti­glia gettato nel mare... Fino al 12 set­tembre pensavo: lui può tutto, se vuole la guarirà. Ora invece mi so­no fatto mendicante, chiederò e busserò fino all’ultimo respiro. È questa la mia conversione». C’è un uomo più potente di Dio - ricorda il Curato d’Ars - , ed è l’uomo che pre­ga. 'Il regno dei Cieli appartiene ai violenti', ci provoca il Vangelo. «Dunque noi abbiamo preso d’as­salto il Cielo», confessa Socci. Attraverso le tante lettere che ripor­ta, incontriamo un numero impres­sionante di storie di speranza, di fi­gli dati per persi dalla neurologia e invece risvegliati ('Ai medici dispe­rati io rispondevo con una totale fi­ducia nel loro lavoro - scrive una madre - , li incoraggiavo dicendo che stavo pregando per loro, per le loro mani'), o invece di genitori che in si­lenzio, senza apparire sui giornali, eroicamente amano i loro ragazzi addormentati, senza aspet­tarsi in cambio neanche un battito di ciglia. «Sono loro che mi hanno consolato, mi hanno scritto di lottare an­che contro l’evidenza, di pregare da mattina a sera. Non immaginavo potesse e­sistere qualcosa del genere». È soprattutto per loro che è nato questo libro (50mila copie e cinque edizioni nelle prime due settimane), «per ringraziare i tantissimi cui non ho potuto ri­spondere - spiega Socci - . E poi per restituire un patrimonio di testimo­nianze che non potevo tenere solo per me, perché tanti altri genitori hanno bisogno di sapere che quan­do tutto sembra perduto c’è ancora qualcosa da fare, pregare, pregare e pregare». Ma anche per far cono­scere quegli eroi silenziosi, «genito­ri speciali che portano croci incre­dibili ». Infine tendere una mano concreta ai sofferenti: «Il dolore del mondo è un oceano sconfinato. Se facciamo la nostra piccola parte, al resto pensa la Madre dolce e bene­detta. Con i diritti d’autore di que­sto libro aiuterò, finché avrò respi­ro, opere missionarie e di carità». Proposti da      5b0b05e2d4d22d3c4d9cf0628dc52a2b

5 Commenti a ““IL DONO DELLA VITA”…due articoli del quotidiano L’Avvenire proposti da Lieta (postati da Rosaria)”

  1. NICOLINo ha detto:

    dove c’e’ amore c’e’ condivisione

  2. orazio ha detto:

    Nonostante tutto vedo che c’è ancora qualche alto Prelato “Cardinale Fisichella” che per un piatto di lenticchie tenta di giustificare l’ennesima “uscita” di Berlusconi.
    Forse si considera che all’Italia non bastino ancora tutti i danni che il “berlusconismo”ha già arrecato nella moralità pubblica.

    Cordialmente
    Orazio Petrelli

  3. lieta ha detto:

    questi art antitesi han denominatore comune l’amore, ove c’è amore c’è vita se pur debolissima e ove non c’è amore attorno noi vogliamo kiudere la ns vita sperando di andare dall’Amore infinito, la disperazione di una ricerca che non si compie sulla terra purtroppo

  4. cecilia1.vr ha detto:

    Grazie Lieta. Molto bello ciò che ho letto. Mi sprona, ancor più, ad affrontare le difficoltà della vita, fiduciosa che c’é sempre, per ognuno di noi, un Padre Amorevole che attende pazientemente la nostra umile Preghiera e tanti fratelli, (vicini e lontani), con il cuore colmo di Fede. Non posso che riflettere e condividere. Da parte mia, una preghiera sincera, per sentirci più uniti e per ogni persona che soffre.

  5. nadia ha detto:

    Perdere un figlio o averlo in stato vegetale, è il dolore + grande che un genitore possa provare. Credo che ognuno di noi usi le proprie armi per sperare. Chi usa la preghiera rivolta a Dio, chi prega la propria figlia semplicemte. Ad ogni modo ognuno di noi si attacca dove può pur di far cambiare una situazione così terribile.
    Questa è proprio un fine settimana dedicato alla sofferenza!
    E’ successo di tutto. Cmq grazie Lieta per l’articolo proposto.

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