Appassionato lettore di Dante, ispirato dal suo pensiero, accompagnato da inquietudini e ansia di rinnovamento, suggestionato in giovinezza dalla predicazione di Savonarola, Michelangelo Buonarroti imprime lo stampo della personalità in un dominante umanesimo che esprime ammirazione per l’uomo in tutte le manifestazioni idealizzandolo in tutta la sua bellezza e nell’espressione di qualsiasi forma di sentimento.
Durante il corso della sua lunga vita, il pensiero e i sentimenti di Michelangelo, si manifestarono anche sotto forma di liriche, senza, peraltro, avesse egli intenzione di pubblicare le sue poesie. Forse ispirato dal Petrarca ma senza adottare la stessa armonia di versi egli si affida a concetti formali , conditi spesso, da oscurità e asprezze riferite anche al proprio mestiere faticoso e solitario. Immaginiamolo alle prese con gli affreschi della volta Sistina, allorquando, con i colori che gli colano negli occhi, l’artista compone, lì per lì, alcuni versi di tono autoironico: La barba al cielo e la memoria sento/ in sullo scrigno e il petto fo d’arpia/ e il pennel sopra il viso tuttavia/ mel fa, gocciando un ricco pavimento.
Ma già prima di porre mano al “Giudizio universale”, Michelangelo si era concentrato esclusivamente, in pittura e in scultura, sul tema della figura umana. E’ questo il carattere più evidente della grandiosa interpretazione dei fatti e degli eroi dell’Antico Testamento, da lui fornita nella volta ad affresco della Cappella Sistina; vi si avverte, soprattutto negli “ignudi” un entusiasmo per la perfezione corporea ricollegabile alla dottrina neoplatonica, che intendeva la bellezza come presenza dello spirituale nella materia, riflesso dell’ineffabile splendore divino nella creatura umana.
Autentico e severo, il cattolicesimo di Michelangelo non fu però privo di perplessità, turbamenti e paure. Era una religiosità esigente accompagnata da inquietudini e da ansia di rinnovamento.
Mentre dirigeva i lavori della cupola di San Pietro, da lui concepita come simbolo dell’ascensione dell’anima verso Dio, Michelangelo attendeva ad altre opere, non per commissione, ma per sé stesso: il gruppo marmoreo della PIETA’ nel Duomo di Firenze, dove si dice si sia ritratto nella dolente figura di Nicodemo, e un’altra PIETA’ ancora, quella detta RONDANINI, oggi a Milano, nel Museo del Castello Sforzesco.
Ed è di quest’ultima scultura che voglio parlarvi, avendola rivista recentemente in un’ennesima “scorribanda” artistica nella mia Milano. Nella sala dove è posta la statua c’è una cassapanca, mi ci sono seduta ma l’irrefrenabile istinto che lavorava nella mia mente mi portava ad alzarmi spesso per avvicinarmi e notare un particolare, di volta in volta nuovo, sconosciuto. Le emozioni, alternandosi alle incomparabili sensazioni mi hanno obbligata ad osservarla per parecchio tempo, abbandonandomi alla contemplazione di questo capolavoro incompiuto, quasi fosse una sorta di testamento di Michelangelo. Ho immaginato l’artista di fronte al suo marmo, pensieroso, fendendolo a tratti con colpi di scalpello, uomo fragile, chiuso nell’ennesimo dilemma, quasi a voler cavare da quel marmo la risposta al mistero, senza trovare una spiegazione alla domanda sul dolore e la morte.
Alla PIETA’ RONDANINI, Michelangelo lavorò fino agli ultimi giorni, nella sua povera casa romana al Macel de’ Corvi; il marmo rimase incompiuto allorché, il 18 febbraio 1564, l’artista ottantanovenne trapassò “dall’orribil procella in dolce calma”.
Nello stato attuale dell’opera, testimonianza del “non finito” o del “non finibile” michelangiolesco, Maria sovrasta e si stringe al Figlio morto, da lei sorretto con un gesto di protezione e di amore. Entrambe le figure si levano verso l’alto e, nel loro tendere a una sorta di annichilimento corporeo, si fanno simili a un unico, sottile e corroso fantasma marmoreo.
Struggente sono dolore e disperazione cui mescola tenerezza nell’affettuoso gesto di una madre che cerca quasi di accogliere in sé, in un estremo disperato tentativo di soccorrerlo, quel figlio che Michelangelo ha scolpito come se fosse incassato nel corpo della Vergine.
Michelangelo ha saputo rappresentare l’angosciosa solitudine di quel momento quando tutto sembra sia finito e l’immolazione del Figlio sia stata una tragedia inutile.
L’attrazione che ho provato per questa scultura mi ha suscitato stupore e meraviglia; ho capito che la “bellezza” assoluta si può trovare anche in un’opera d’arte incompiuta, anche quando non esistono levigature e addirittura le forme anatomiche sembrano disarmoniche nel loro insieme.
Termino con una significativa frase del Vasari: “fosse che il giudizio di quello uomo fussi tanto grande, che non si contentava mai di cosa che è facessi..”.
Chissa mai cosa avrebbe “estratto” se ne avesse avuto il tempo, sicuramente avrebbe fatto “parlare” il marmo, come in tutte le sue opere scultoree.
Interessante domanda, Franco. Ovviamente la risposta non la conosco ma provo a darti la mia personale interpretazione. Considerato che il Buonarroti era uno che ci sapeva fare e che, come ho detto nell’articolo, amava nell’uomo la bellezza e la perfezione, proviamo ad ammirare, memorizzandola, la meraviglia di quelle ginocchia, la perfezione della coscia, affusolata, che pare abbia dentro di sè la vita, che vien quasi voglia di accarezzare, quasi come fosse gamba di atleta. Questa è la quintessenza della bellezza. Poi alzando lo sguardo, però, devo fermarmi a riflettere e non trovo risposta alla domanda: “come sarebbe stata se avesse avuto il tempo di finirla..?” E siccome non posso che immaginare, perchè la verità solo il Michelangelo la conosce, ma sempre secondo la mia umile e modesta opinione dico che egli voleva fare della madre e del figlio un personaggio unico fondendo le due figure una dentro l’altra.
Bellissimo il tuo articolo cara Francesca.
Ti pongo una domanda …perchè l’ottantanovenne Michelangelo partì con il completare l’opera dalle ginochia e dalle cosce di questo stupendo Cristo morto? Io avrei cominciato dalla testa!!!! Ma poi guardando questo particolare “finito” noti ancor più quell’amalgama tra Madre e Figlio …come giustamente dici tu il fascino e la modernità del non finito ,che più stupisce e che fa pensare che è tale il patos che il “giusto” sia il “non finibile”.
Bellissimo pzzo descritto molto bene,io che l,ho visto diverse volte ,sono milanese,chiudendo gli occhi mi sembrava rivederlo,grazie
me firmi anke assegni ahahaha coperti ahhah ciao tremend come la general snow ciao tutti
Lieta ,lo sai bene che te ti puoi permettere.
Il permesso l’ha firmato…Birbo!
Bella lezione Francesca su quest’opera incompiuta di Michelangelo, non cè nulla da aggiugenre alla tua lettura. Il mestro porta sempre ad evidenziare il dolore, l’atteggiamento pietoso della madre ,all’amore e devozione del figlio morto.
Brava, Franci. Il pezzo è da conservare fra le cose più belle.
franci bellissimo il commento di alba ciao tutti amorevoli persone
leggere il tuo scritto èmeglio che frequentare l’università della 3età sezione storia dell’arte.
semplice le tue parole per una profana come me, mi hai fatto chiudere gli occhi e seguirti nei tuoi stati d’animo,
Amare l’arte è amare la vita, etu fai vivere le statue di marmo
capperi ke bel particolare artistico vendetta tremenda vendetta eterna aahah, giulià tu li scovi tutti sti particolà , se mi posso permette ormai l’ho scritto se so irriverente dispettosa ditemelo ke me ritiro filosofa’ cioe fa un tubo
bello che brava che sei e che passione
Sempre tu, sempre ricca di dettagli di passione interiore che ti strugge il cuore.
BravA AMICA MIA NON FINORò MAI DI STUPIRMI.
GRAZIE.
Molto belli e sempre interessanti i tuoi post sull’arte,Franci, posso aggiungere un aneddoto del toscanaccio bizzoso e prepotente qual era Michelangelo?
Mentre dipingeva il Giudizio in Vaticano, fu offeso da un certo Messer Biagio da Cesena, terribile mala lingua e… gay dell’epoca, che dopo aver visionato in anteprima i suoi dipinti, andò in giro per Roma a dirne peste e corna. La vendetta di Michelangelo non si fece attendere. Nel quadro non ancora terminato, era rimasto uno spazio libero. Lì ci immortalò il Messer Biagio con un serpente che gli mordeva il chiacchierato sedere…! Una vendetta di stampo eterno. Che molte male lingue si meriterebbero ancora oggi.