Era la prima volta che mi recavo a Mantova e la visione, entrandovi al mattino presto era tutta racchiusa in un’atmosfera che avrei definito irreale, quasi magica. I campanili e le sue torri emergevano da un velo argenteo di nebbia man mano che mi avvicinavo.
Guardandomi intorno, prima di entrare nell’ansa che racchiude l’abitato, spaziavo attraverso l’ampia e fertile pianura ascoltando il silenzio che regnava tra le cime dei pioppi che si ergono numerosi e alti verso il cielo quasi a voler contendere il primato a campanili e torri, e non solo della città ma anche dei cento e più paesi che le fanno da contorno.
Tutto era permeato da una solennità quasi mistica e io trattenevo quasi il fiato per non infrangere silenzio e sensibilità acuita in questa pianura dove la poesia delle tradizioni, pur lontane nel tempo, vive sempre nello spirito e nella tranquilla monotonia dell’umile e paziente lavoro di vita agreste.
E dalla contemplazione “di questa dolcezza profonda di paesaggio corcato nel verde” nascono le Georgiche di Virgilio, il grande Mantovano, poeta dell’Impero, che sopra ogni cosa canta la poesia della terra, intimamente legata alla visione raccolta dei campi nativi e al suo amore per l’Italia.
E mentre il Mincio con le sue acque ferme dai riflessi dorati regalati dal primo sorgere del sole, sbadigliava al giorno dandomi il benvenuto, io entravo già carica di trepide emozioni ed esaltanti aspettative per ciò che sarei andata ad ammirare.
Voi sapete che non è mia abitudine riportare dati storici o biografici che ovunque si trovano e magari annoierebbero il lettore ma d’obbligo mi è accennare al periodo dei Gonzaga a Mantova sotto il cui marchesato la città conobbe un’era di splendore artistico con la costruzione dei maggiori edifici, veri capolavori d’arte e di grandiosità. Alla corte dei Gonzaga fecero onore i più illustri ingegni quali l’Ariosto, il Tasso, il Correggio, il Tiziano e il Cellini, Pisanello e Vittorino da Feltre che vi fondò la Cà Zojosa (Giocosa).
Per l’arte rinascimentale Ludovico II ospitò il Brunelleschi, l’Alberti, il Poliziano ma fu soprattutto Andrea Mantegna a dare l’impronta alla Mantova dei tempi d’oro.
Così ha inizio la mia visita, con ingresso al Duomo che si trova proprio nella grande piazza che ospita anche Palazzo Ducale e il Castello di S. Giorgio dei quali vi parlerò più avanti.
Il Duomo è una costruzione di antica fondazione ma ricostruita nel 1545 da Giulio Romano, grande architetto e pittore del Rinascimento manierista che a Mantova ha lasciato praticamente traccia ovunque.
Della precedente costruzione restano il lato destro gotico e il campanile romanico del XII secolo, aperto da bifore e notevoli polifore.
L’interno, magnifico per eleganza di linee e ornamentazione è una sontuosa versione della basilica paleocristiana nei termini del manierismo cinquecentesco.
Una quadruplice schiera di colonne corinzie architravate lo divide in cinque navate componendo un suggestivo gioco di ombre e prospettive.
E ora, forse la parte più importante e attesa di questo mio percorso: Palazzo Ducale e Castello di San Giorgio. Entrambi fanno parte della reggia dei Gonzaga che non è assolutamente un edificio singolo ma è, in realtà, un enorme complesso di costruzioni di varia epoca collegate fra loro da passaggi interni. L’idea della vastità di questa reggia posso darvela dicendovi che annovera 500 stanze, alcune delle quali sono immense sale e 15 aree all’aperto fra giardini, cortili e piazze.
Entrando da Palazzo Ducale e salendo lo scalone che conduce al primo piano, si accede alla Sala del Pisanello, sontuoso pittore di Corte che lavorò a lungo a Mantova. Qui eseguì forse una delle sue opere maggiori, la decorazione della Sala dei Principi che raffigura gesta di cavalieri impegnati in un sanguinoso torneo. In questo enorme affresco l’artista inserisce anche personaggi della corte gonzaghesca con diversi simboli di questa famiglia.
Pregevoli opere d’arte e collezioni di notevole importanza sono raccolte nei vari ambienti del Palazzo Ducale. Nella Galleria della Mostra si trovano una scultura raffigurante un “Virgilio” di scuola veneziana del XIII secolo e il busto di Francesco II attribuito al Mantegna.
Una grande tela di Rubens raffigurante i duchi Gonzaga con le rispettive duchesse di trova nella successiva Sala di Manto.
Attraverso sale e saloni mirabilmente affrescati e raffiguranti tutti i momenti della vita dei padroni di casa ma anche decorazioni e figurazioni mitologiche e allegoriche, senza rendermene conto passo da Palazzo Ducale al Castello di San Giorgio e qui accedo, con l’emozione a mille, ad ammirare un affresco rimbombante di verità poetica e rara bellezza col quale, quel genio di Andrea Mantegna ha voluto incidere la sua forza di rappresentazione del linguaggio in uno straordinario potere evocativo del racconto storico dove tutti i personaggi raffigurati formano la trama dal profondo senso umanistico: la Camera Picta o Camera degli Sposi.
E il Mantegna qui mi apre il sipario in un paesaggio altamente suggestivo con una visione ampia e luminosa del grande ritratto di vita contemporanea realizzato con vivacità ed intelligenza. Si tratta di un grande ciclo decorativo che raffigura, in termini di profonda solennità, gli aspetti della Corte gonzaghesca in una composizione di ampio respiro dove l’ispirazione poetica riesce a trasformare ogni elemento culturale in una più umana aderenza alla realtà e alla natura. La Camera degli Sposi rappresenta una delle pagine più alte dell’arte di Andrea Mantegna. Ma non pensate sia questa una sala immensa, si tratta invece di una piccola e raccolta camera talmente ricca di immagini decorative che sembra quasi vogliano sfondare le pareti dell’ambiente.
Ora cercherò di accompagnarvi nel mio percorso, ma non mi sarà possibile descriverlo interamente con dovizia di particolari, sarebbe troppo esteso il racconto perciò cercherò di intrattenervi con brevi cenni per ciascuna scena.
All’ingresso nella stanza la mia attenzione è attratta dalla parete sulla quale il Mantegna ha ritratto la Corte dei Gonzaga riunita. Seduto sul trono, posizione di privilegio, è il Marchese Ludovico che colloquia col segretario Marsilio Andreasi. Accanto a lui, appena più in basso, è Barbara di Brandeburgo, la moglie, donna colta e intelligente in grado di sostituire il marito, durante le sue assenze, nella conduzione dello Stato e della famiglia.
Fra i due coniugi si trovano il primogenito Federico e il giovanissimo Ludovico. Poco più sotto è l’ultimogenita Paola. Gli altri due figli della coppia si trovano alle spalle di Barbara e sono Rodolfo e Barbara.
Vi sono poi raffigurati un matematico e un parente d’alto rango ed infine la nana che sembra quasi sparire tra le vesti della principessa Barbara.
Sulla parete di sinistra è raffigurato l’incontro tra il Marchese Ludovico e il figlio Cardinale Francesco alla presenza di famigliari e cortigiani.
Grande suggestione offre il paesaggio che fa da sfondo: monti e colline si estendono in lontananza dove l’artista ha rappresentato una città ideale con monumenti avvolti in un silenzio totale ed inviolato. E tale è il silenzio in questa stanza dove la contemplazione lascia spazio solo all’emozione che coglie e che non ammette parole.
Piccole figurine bianche si muovono sulle pendici del monte mentre una girandola di putti sorregge l’epigrafe latina che conclude la fatica dell’artista che ben testimonia la natura affettiva dei rapporti tra il pittore e i Signori di Mantova.
Alzando gli occhi al soffitto vengo immersa in una volta a stucchi dorati dove, da una balconata, si affacciano dame e putti. Qualche testolina appare tra le aperture della balaustra e mentre i singoli elementi convergono tutti al centro la luce piove in una finzione quasi spaziale ma altamente affascinante spalancando l’occhio sul cielo luminoso (e se "tirate" la tendina verso destra potete ammirarlo in tutta il suo splendore).
Tutti sappiamo che all’interno dei musei è vietato fotografare ma io sono riuscita, in un momento di distrazione del sorvegliante a catturare un paio di immagini di questa mirabile opera che mi ha lasciata strabiliata per il suo stupefacente pregio.
Di arte da vedere a Mantova ce n’era ancora tanta ma il tempo incalzava e allora via al Palazzo Tè attraverso Piazza Sordello, Piazza delle Erbe e non prima di aver fatto una capatina alla imponente Chiesa di S. Andrea che custodisce il sepolcro di Andrea Mantegna.
Il Palazzo del Tè è una grandiosa villa rinascimentale ed il più significativo monumento lasciato da Giulio Romano. Questo singolare nome deriva, secondo alcuni, da una località chiamata, in dialetto, Tejet (piccolo taglio dell’erba) e secondo altri, invece, da teieto, cioè villaggio di capanne.
Anche qui le innumerevoli sale sontuosamente affrescate riportano all’artista che a Mantova ha lasciato quasi tutta la sua produzione. Giulio Romano, allievo di Raffaello, ha realizzato la Sala di Psiche dove ha svolto il tema dell’Amore attraverso la mitica favola tratta dall’Asino d’Oro di Apuleio che tanto piaceva alla fantasia rinascimentale.
Nella Sala di Psiche l’artista ha voluto rappresentare, esaltandola, la passione
amorosa del marchese Federico per Isabella Boschetto ma ciò che fa di questa sala motivo di rara bellezza sono le decorazioni dalla cromatica vivacità e l’inesauribile ricchezza di motivi pittorici su interessanti sfondi paesistici.
Attraverso, ammirandole le altre numerose sale tutte degne di nota, ma per non rubare altro spazio mi fermo solo a darvi un breve cenno alla Sala dei Giganti che è certamente l’ambiente più spettacolare del Palazzo.
Le decorazioni di questa sala fondono le pareti con la volta in un unico ed infinito affresco di figure veramente colossali ed impressionanti intese a svolgere il tema della “Caduta dei Giganti fulminati da Giove”, tema che richiama la Potenza dell’Imperatore Carlo V che nel 1530 aveva concesso a Federico II il titolo di duca.
Altre sale ed altre meraviglie i miei occhi hanno catturato imprimendole nella mia mente ma concludo questo mio viaggio nell’arte mantovana con un felice pensiero. Nella magica atmosfera di questa città continuano a vivere, l’uno accanto all’altro, il mondo poetico che ispirò la poesia virgiliana, l’ineguagliabile imponenza dei monumenti gonzagheschi, la maestosa signorilità dell’arte rinascimentale, i ricordi storici e forse, anche dolorosi della nostra storia più recente. Tutto questo è Mantova e ognuno può scegliere, tra ciò che è bello e raro in questa città, la Mantova che più gli è vicina.
Io ho scelto la Mantova dell'arte e della poesia, quindi tutta senza esclusione alcuna.
buongiorno interessante non sono stata mai a mantova di questa città conosco solo i ravioli di zucca che ne vado ghiotto con tutta questa descrizione mi è venuta una gra curiosità complimenti
Non voglio scavalcare Francesca…che è insuperabile, ma se il caro Caicco vuole notizie ed immagini sul Mantegna ..vada su http://WWW.il Mantegna.it …troverà tutto .
Brava, brava e brava . Ottima descrizione .Che dire di più? Ecco:- mi viene in mente una semplice riflessione :_GRAZIE
Molto bello il modo di raccontare Mantova, non sono mai stata in questa città, ma ne ho sempre sentito parlare come di un luogo magico, elegante e pieno di meraviglie. I riferimenti storici di Virgilio mi riportano ai tempi della scuola, le tue impressioni personali rendono l’articolo unico. Le immagini sono belle e il percorso interessante. Franci continua a proporci questi luoghi e questi tesori che il nostro Paese racchiude.
Signor Caicco le brioche…scusi, le brochure di Mantegna non le può trovare da nessuna parte, ne ho fatto incetta io per copiare questo articolo.
Complimenti Francesca perchè una descrizione più bella di Mantova non la potevi fare . Sono a poco più di mezz’ora di autostrada da questa splendida città e quindi la visito almeno tre quattro volte l’anno. Mantova oltre ai luoghi “importanti” così ben descritti, anche in immagini, è bella nelle piccole strade medievali, nelle piazzette e nelle chiese ,nei ristoranti dove puoi mangiare i famosi tortelli di zucca ,il risotto alla “pilota”, il somarino con la polenta e la torta “sbrisolona”…tanto per citare qualche squisitezza.Chi vuole affrontare un viaggio nel mantovano non può poi non visitare Sabbioneta e San Benedetto Po .
Molto bello signora Francesca.
Una domanda.dove posso trovare una brioche…scusi una brochure delle opere del Mantegna?
Ci continui a deliziare con queste interessanti descrizioni. Grazie e ancora complimenti.
IO nn posso che ringraziarti Francesca per il tuo minuzioso scritto,conosco molto bene Mantova ,ci sono stata molte volte .Mi hai fatto attraversare le sale colle tue descrizioni rivedendole con te grazie
Come si può smentire la conoscenza artistica di Francesca, questa volta con un minuzioso scritto, ci ha fatto conoscere sia l’arte pittorica sia quella architettonica di Mantova.Grazie.
ciao francissima, non sempre riesco legge tutti articoli, cmq già le foto e la tua passion ke esala dal tutto mi riempiono di vita e anke dai commenti meritatissimi ke leggo…………….
Non so xche’, ogni volta che sento nominare Mantova, scatta il ricordo scolastico e mi ritorna in mente il “distico” che sta sulla tomba di Virgilio (tomba che si trova qui a Napoli) e che recita cosi’: “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces (Mantova mi dette i natali, nel Salento, all’epoca chiamato Calabria, morii, ora sono sepolto a Napoli; scrissi le Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide ).
In questo distico è riassunta un po’ la sua vita.
Per quanto riguarda Mantova non la conosco, ma attraverso lo scritto di Franci ho potuto godere almeno delle opere d’arte che ci sono. Grazie, Franci, x la bellissima “passeggiata artistica” che ci hai fatto fare insieme a te.
Senplicemente fantastica “come sempre” la tua descrizione di Mantava in così breve spazio è una perla da conservare.
Grazie amica mia- Sei GRANDE!
Tu hai scelto Mantova e noi scegliamo te, Francesca, come portabandiera dell’arte bella e della cultura.