Nel mio girovagare per l’arte, sempre affamata di nuove emozioni e per arricchire la mia cultura-conoscenza artistica, ho avuto modo di conoscere, del tutto casualmente, questo pittore, Georges de La Tour. Perché dico casualmente? Perchè mi trovavo, nei giorni scorsi, ad attraversare Piazza della Scala a Milano ed alzando gli occhi verso Palazzo Marino ho notato due enormi posters che raffiguravano due dipinti di questo artista, giunti dal Louvre. Premetto che vado ogni anno ad ammirare i dipinti che Palazzo Marino espone in occasione delle feste natalizie, provenienti, in genere, da collezioni private od altri musei non meno importanti di quelli nazionali, ma quest’anno, nel mio immaginario, non davo molta importanza a questa esposizione. E per fortuna ci sono capitata per caso perché, sbagliando nel giudicare, mi sarei persa qualcosa di fortemente meritevole. Ho scoperto un pittore che non conoscevo assolutamente ma che mi ha affascinato per la sua originalità e per quel genere di pittura soffusa di misteriosa calma dove le scene vengono composte in un armonioso equilibrio di spazi. Ma soprattutto, ho scoperto un caravaggista con la predilezione per l’astrazione dei tratti del volto, per lo sfondo ininterrotto toccato dalla luce e per le figure disposte come un fregio attraverso la tela.
Così, per capire qualcosa di più dell’enigmatica e mutevole figura di questo artista ma soprattutto per la curiosità che mi lega ai proseliti del mio pittore prediletto, Michelangelo Merisi , mi sono divertita a mettere a confronto la chiassosa corposità terrena del Caravaggio con il silente carattere ultraterreno di de La Tour.
Ma prima mi è d’obbligo un brevissimo cenno biografico.
Georges de La Tour, straordinario e originale pittore francese del Seicento era nato in Lorena nel 1593. In un paese devastato dalla pestilenza e dilaniato dalla Guerra dei Trent’Anni egli dipinse molto ma sono solo 35 i quadri che ci sono rimasti.
Di lui non si sa molto, artisticamente parlando, ma di certo, anche se non si deve concludere che sia stato necessariamente a Roma nella prima giovinezza per studiare sul posto, i quadri del grande genio lombardo, possiamo dedurre che le prime opere del Caravaggio o qualche loro copia arrivavano già al nord dieci anni dopo la morte dell’artista. Sicuramente, La Tour, senza essersi allontanato dalla Lorena, innestò le proprie tradizioni locali su uno stile caravaggesco ormai internazionale col risultato che dalle sue dita miracolose nacque uno stile nuovo.
Ed ora i miei confronti:
Questo è “I BARI” di Caravaggio
Un giovane ricco e dal colorito florido è impegnato in una partita a carte. E’ sontuosamente vestito di seta nera su una camicia orlata di pizzo, un abbigliamento di gran classe che ha attirato l’attenzione non di uno, ma di due cacciatori di prede. Probabilmente, dal mezzo sorriso che gli aleggia sulle labbra si può pensare che stia cercando di rifarsi da un precedente gioco perso. Ma che possa vincere adesso è assolutamente impossibile. Il giovane imbroglione che gli siede di fronte ha una serie di carte in più nascoste nella cintura dietro la schiena. L’altro guarda da sopra la spalla della vittima e manda segnali in codice al complice affinché possa giocare le carte giuste per vincere la mano.
E questo è “IL BARO CON L’ASSO DI QUADRI” di La Tour
Un ragazzo ingenuo, seduto sulla destra sta per perdere tutti i soldi che ha davanti a sé sul tavolo, che passeranno ad un uomo privo di scrupoli, seduto a sinistra, che ha assi nascosti dietro la schiena e che è in combutta con la donna seduta al centro. Una servetta, che sta portando a quel tavolo un fiasco e un bicchiere di vino, sospetta che quei due stiano tramando qualcosa. Forse ella ha dato il suo cuore al ragazzo.
Bisogna, però stare attenti a non leggere troppe cose in queste storie.
La Tour vuole mantenere a distanza l’osservatore per farlo avvicinare alla verità con passo felpato. A lui piace accennare al significato di un quadro con uno sguardo dato con la coda dell’occhio; concede a chi osserva, di scoprire il sospetto e la doppiezza negli occhi, l’astuzia in un gesto, ma anche la misteriosa dolcezza nell’ovale dei volti.
Gli imbroglioni di Caravaggio invece, introdussero nell’arte un nuovo concetto: il fascino dei bassifondi. Diedero vita a tutto un mondo di furfanti dipinti successivamente da parecchi artisti tra cui La Tour. Riguardiamo attentamente il dipinto, il complice del baro porta un guanto con due grossi buchi. A produrli non è stata l’usura ma il guanto è stato scucito apposta perché il dito medio e il pollice dell’imbroglione, ben addestrati, potessero fare il loro lavoro. Ma nonostante ciò, sarebbe un errore giudicare il dipinto un’opera apertamente moraleggiante; nel suo realismo, Caravaggio voleva proporre un avvincente pezzo di teatro vivente all’interno di una realtà tanto ambigua quanto disgraziatamente partecipe, almeno quanto lo era la sua in quei momenti.
Questa è “LA BUONA VENTURA” di Caravaggio
Qui troviamo due personaggi, un giovane e una zingara, un’imbrogliona che apparteneva a una classe di “vagabondi”ancora più vilipesa di quella dei bari. Ma questa ladra è una bellissima maliarda che alla sua vittima, oltre che all’anello dalla mano che essa gli sottrae, ruba quasi certamente il cuore.
La zingara di Caravaggio è la personificazione della povertà sorridente, ma non è solo un simbolo. Con il suo foulard a turbante ed il lungo mantello, è vestita esattamente come le vere zingare dell’Italia del XVI secolo.
E questa è “LA BUONA VENTURA” di de La Tour
La lettura di questo dipinto è molto simile a quella del “Baro” in quanto entrambi rappresentano una truffa ai danni di un giovane. L’attenzione dello spettatore è incentrata sul volto rugoso della vecchia che, cercando di raggirare il bel ragazzo, gli predice l’avvenire dalle linee della mano sinistra. L’espressione contrariata dell’impostora, rivela una protesta per la magra ricompensa ai suoi servizi, mentre due donne più giovani, forse zingare, borseggiano il malcapitato ingenuo tagliandogli via una medaglia appesa ad una catena portata a tracolla. Anche qui ritroviamo lo stesso volto della ragazza del “Baro” (la servetta, ricordate?) che, pur essendo pronta a prendere dalla complice la borsa dei denari del giovane, lo guarda rapita (…chissà, forse in un ambiguo gioco di mescolanze sentimento-denaro aveva concesso il suo cuore a lui..).
Ed io vedo, in questa “riutilizzazione” di due famosi soggetti del Merisi, la dimestichezza di La Tour con la carriera romana di Caravaggio nello stesso gioco di mani, nelle stesse implicazioni di turpitudine morale, nello stesso substrato sessuale.
Questa è la “MADDALENA PENITENTE” di Caravaggio
Qui troviamo una giovane donna sconvolta, seduta nell’oscurità, ma sopra di lei come a drammatizzare la luce divina che le penetra nell’anima, s’incunea un astratto triangolo luminoso, tipico del Merisi che fa provenire la luce da ambienti avvolti in profonde zone d’ombra.
L’artista fa sedere la modella in una sedia così bassa che, guardandola dall’alto, in una veduta a volo d’uccello, sembra quasi giaccia accasciata sul pavimento. Essa è ritratta nel momento immediatamente successivo alla conversione, sulla guancia le scende una solitaria lacrima. Si è strappata oro e gioielli e li ha sparsi per terra. I suoi occhi suggeriscono che stia guardando dentro di sé, forse vivendo il trasporto di una visione mistica. Sembra come cullare un immaginario bambino.
E questa è la “MADDALENA CON LO SPECCHIO” di La Tour
La giovane donna è seduta di profilo davanti ad un tavolo sul quale è appoggiato uno specchio, molto ornato, che non vuol essere altro che il ricordo di una vita non redenta. Sullo stesso tavolo figurano anche i gioielli a cui la donna ha rinunciato, anch’essi ricordo di un’esistenza fastosa ma impura. Essa si tormenta con queste ricchezze abbandona-te e l’espressione del suo volto è di estrema malinconia.
E anche se La Tour è ben distante dalla drammaticità e dal contrasto violento tra tenebre e luce di Caravaggio, si avvale della luce quale elemento compositivo essenziale dei suoi quadri come aveva fatto prima di lui, in assoluto, lo stesso Caravaggio.
Potrei continuare il confronto con altri dipinti dei due artisti che presentano similitudini ma non voglio tediarvi ulteriormente.
Chiedo ora a voi se è solo la mia esaltazione di appassionata d’arte ma soprattutto amante del mio artista prediletto, Caravaggio a ritrovare analogie nei dipinti di Georges de La Tour o se effettivamente lo stile caravaggesco ha influenzato il grande artista francese.
Cara Franci, quello che hai scritto e’ molto interessante. Sto scrivendo un articolo su La Tour e il suo probabile viaggio in Italia presentando alcune novità riguardanti dipinti vicini al lorenese. Quando rientri dalle ferie scrivimi saluti. Renato Di Tomasi
Non voglio ritenermi un esperto per valutare una tela, ma ritengo che la pittura di Caravaggio sia inconfondibile, non ha paragoni secondo me con altri pittori, la caratteristica delle sue ombre, con un tratto definito, i sui sfondi sempre scuri nell’ombra,temi diversi. Indubbiamente le tele che ci hai presentato sono molto belle e Geogers de la Tour che non conoscevo, si nota che egli ha attinto allo stile del Caravaggio molto da vicino, ma con caratteristiche diverse. Ti ringrazio della tua presentazione che ho apprezzato molto.
Gentilissima FRANCY, come sempre sei sorprendente ! considero la tua presentazione una autentica scoperta.
Grazie, dai ai profani la capacità di capire
Più che analogie direi influenzato. Ogni volta che sono nelle vicinanze della chiesa di S. Luigi dei Francesi, entro: ci sono i tre capolavori di Caravaggio, nella Cappella Contarelli, rappresentano “San Matteo e l’Angelo” (sopra l’altare), “La Vocazione di San Matteo” (a sinistra) e “Il Martirio di San Matteo” (a destra).
Quei dipinti, secondo me, sono da “ascoltare” oltre che ammirare.
Non credo che avrei la stessa sensazione guardando i dipinti di G. La Tour,anche dopo le tue esaurienti spiegazioni.
Credo che ci siano delle analogie, fra La Tour e Caravaggio, lei saprà certamente che il pittore lorenese è noto come il “Caravaggio francese”.
Giusta la sua deduzione sulle copie arrivate al Nord, perché i due non si sono mai incontrati di persona e l’unico contatto reale e documentato dalle fonti tra La Tour e Caravaggio fu la tela dell’Annunciazione di Nancy, realizzata nel 1609 dal Merisi, che il Maestro di Lorena poté osservare.
Ho avuto la fortuna di trovarmi a Milano, nei giorni della mostra a Palazzo Marino e ammirare le due opere esposte: San Giuseppe falegname e L’Adorazione dei pastori, due delle opere più celebri.
Nei confronti, che lei ha ben illustrato, trovo differenza nella luce dei dipinti del Caravaggio e nei personaggi che sembrano in movimento, meno statici.
Mi permetto di aggiungere una nota:
La riscoperta di questo pittore si deve al lavoro dello studioso Hermann Voss, che ha dedicato parte della sua vita al recupero dell’identità di Georges de La Tour, trovando le sue opere, disperse in musei e collezioni.
Leggere le sue descrizioni è come sentirle dalla viva voce di una persona veramente “innamorata” dell’Arte.
Ho letto con grande interesse il tuo servizio, Francesca, e l’ho apprezzato molto. Il parallelo Caravaggio-La Tour, che definirei “distanze e analogie fra due pittori”, è fantastico. Te lo voglio davvero dare, se permetti, un abbraccio stritoloso.