C'era una volta.....così incomincia questo simpatico percorso che Giulio ci invita a fare dentro "le cose di ieri". Cose che, in una società evoluta dove l'elettronica la fa da padrone, si dimenticano troppo facilmente. Giulio non ha messo, volutamente, la "traduzione" dal versiliese all'italiano perchè ritiene, a ragione, che perderebbero parte della loro autenticità e integrità. Naturalmente siete autorizzati a chiedere spiegazioni al nostro amico che sarà ben lieto di fornirvele.
Racconti in dialetto –o parlata- versiliese. Alta Versilia .Un tuffo nel passato.I bambini, o ragazzi di allora non avevano altri giochi se non il vivere quotidianamente a contatto con la natura.I nostri Maestri erano i Nonni e Genitori (scritto maiuscolo di proposito), perché lo dobbiamo a Loro se conosciamo l’idraulica dei rigagnoli o torrenti. La recimazioni delle acque , muretti a secco di contenimento etc. Queste parole in bocca, oggi, a tanti esperti per la tutela del territorio, che magari, molti, non distinguono un pino da un cipresso .Qualcuno dirà che vengo da un altro pianeta:-Si!E’ per questo che Vi propongo quanto state per leggere .Se vi va .
RAGAZZI DI GLIERI
(ragazzi di ieri )
LA PESCA DELLE ANGUILLE
Il sole d’agosto facea ballà la vecchia nella Costa che guarda Terrinca.La calura avea fatto i frasconi su fino ai piedi di Monte Cavallo, e il Canale di Picchiaia era sciutto da qualche mese: sule grotte ci podei scricca un fulminante tanto erino secche.Le scope aveino perso tutti i bimboli, solo qualche chioppata di cerro e d’albatrello dava colore al bosco.
I castagni erino ciondoloni ma ancora verdi, però aveino certi cardetti gronchi che poverini, come faceino in pochi mesi a riempissi di castagne lo sapea solo Lulassù.
Solo il Canale dele Fontanelle pisciava un popoino e i su bozzi erino il nostro posto preferito per giocacci.Si faceino le gore per devià l’acqua : era il momento giusto per fa gli scecchi per agguantà qualche anguilla.
Quando nel pozzo rimanea solo rena e terra, si vedeino què mostri sbiscettà nela mota .
Giorgio , il più adatto, con dele pennatate sigure facea dele forcelle appuntite di frasso per ‘nfrizzalle e mettile nel ballino. Ma durava pogo quel passatempo:l’anguille erino furbe , le più scappavino : andavino tutte verso il fiume. Ma erimo contenti perché ne aveimo prese assai per fa arrabbià le nostre mamme. Ma lo sapeimo e così si gli portavino a casa già sbuzzate e pulite.
La matinata era ormai passata, il campanile sonava mezzogiorno, il sono rimbombava verso le Conchette , picchiava nel Col di Serra e scendea giù verso il molino di Tortigliano: era meglio andà a casa se non si volea qualche vignastrata negli stinchi.
Si riconciò il pozzo con sassi e piode come ci aveino insegnato i nostri nonni e si richiusero le gore per lo scecco: il canale cominciò a fassi largo come prima e l’acqua rivenne pulita.
Ci si divisero l’ anguille e ci si avviò verso il paese, ma il giorno un’era anco finito: aveimo in progetto altre avventure…
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COME ANDARE ALL’OSPEDALE ( ossia, come dice un vecchio saggio: - -Non toccare il culo alle vespe-)
Nela selve di Baffino , c’era un castagno bugione con un nidio di scorzafrassi. Erino giorni che Franco stuzzicava con una pertica le bresche. Eppure lo sapea quant’ erino pericolosi. Dichino i vecchi che tre punture ti mandino all’ospedale. Anco no’ si gli dicea :- Lascili stà, stà bono, ‘n fa segate Ma lu era sordo , da quell’orecchio ‘un ci sentia.Tagliò una calocchia di castagno bela lunga e gli fè la punta, po’ comincò a fa saltà via le bresche giro giro al buco duve sortiino gli scorzafrassi. No si urlava :-sta fermo, sta fermooooo, ti punginooooo, Accendiemo uno stufazzo e affumichiemoli un popoino , hai capitolo. Stordiemoli, imbrachiemoliiiii, acciechemogliiiii, da rettaaaaaa, veni viaaaaa -
Nulla da fa, dopo un po’ si vide Franco dassi dele manate per la testa e scappà verso la casetta dell’Argia.C’era, per fortuna, una conca duve ci facea il bucato piena di ranno, si ci tirò dentro e si salvò. Passato il pericolo, si andò in suo aiuto; com’ era concio: gli occhi gonfi, il muso, il collo , gli orecchi; era stravisato e spaventato. Con dele foglie di vietriola, di malva e di piscialletto, gli si fè degli impacchi con quell’acqua verdognola.
Passato lo spavento si accompagnò a casa. Quando lo vite su ma si mise le mani nei capegli e gli urli si sentiano di Terrinca.Le donne vensino in aiuto e lo ripulittino ala meglio. - Stasera , quando vene tu pà ti pesta di santa ragione, co la tu pelle ci fa la grancassa- L’unica cosa da fare fu la silenziosa ritirata perché ce ne fu anco per noaltri : le ‘mprecazioni ci furavino gli orecchi come aghi.
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MANGIARE LE SUSINE CON MODERAZIONE
Era una settimana che si girava per i campi a vedè se le sosine albanelle erino mature, prima si passò anco da la ceragia di Gedeone ma , era una tardia e c’era da aspettà. Però aveimo preparato un cartone e ciaveimo scritto : -Vincere e vinceremo, quando sien mature ritorneremo – E si appiccicò al ramo più basso de la ceragia che lo vedesse. Come si arrabbiava !
Quando cominciò a fa buio, ci si ritrovò in Cimigliari, da li, si vedea se c’era gente ancora nei campi. Aveimo visto che la sosina di Battista le avea bele mature. Ognuno di noi si fece una senata di sosine e ci si allontanò verso il Cavule:abbastanza al sicuro che un ci vedessino e se ne mangiò tante e poi tante. I guai cominciarono durante la notte. Dolori di pancia , di testa.Dissi a mi ma quelo che avevo mangiato, la povera donna , preoccupata ,andò a sentì come stavino i miei amici.
Loro un aveino nulla. Chiamò di corsa la vicina di casa, l’Orietta ,per vedè che si potea fa per levammi i dolori di dosso. – Pia – disse l’Orietta, -Questo bimbo more !Secondo me …gli va fatto un cristero, lo vedi? Ha gli occhi gonfi e anco lugne viola, s’è avvelenato- Po’ si rivolse a me :- Ma me lo dici che hai mangiato ? –
Con un filo di voce riuscitti a digli che aveimo scossinato la sosina albanella di Battista , quela vicino al forno. –Ma che dici ? Ho visto che l’ha ramata proprio oggi : vi sete avvelenati – No ! Disse mi ma, gli altri un hano nulla - Pia – continò l’Orietta – scalda dell’acqua e piglia la macchina da cristeri, supito –
Arrivò mi ma con un catino di acqua, l’Orietta ci sciolse del pezzi di sapone di Marsiglia, quando la schiuma comincò a fa i gongolotti, la versò nella macchina e l’attaccò a un chiodo del travicello.
Mentre mi torgevo nel letto per i continui stranguglioni dela pancia, l’Orietta mi mise a cul bugioni : co una mana mi sollevò il sedere e con l’altra teneva calcato il cannello che non uscisse dal …e apritte il rubinetto. La pancia diventò gonfia come un pallone: quel mostro dell’Orietta non ne lasciò una goccia nella boccia . Si rivolse a mi ma – Quela dose lì, ci gli vole tutta- Le pie donne mi rigirarono a panciall’aria e l’Oriè tuonò – Stringi forte i denti più che poi, te lo dico io quando andà a liberatti-
Un fe a tempo a finì la frase che ero già al camberino.Ia cascata del Canale di Picchiaia un era nulla in confronto …al resto.Il ravaneto del Giardino erino segate in confronto ai troni che si liberavano da la mi pancia. I dolori passonno e il colore dell’ugne ritornò normale. Mi ma , ringrazò l’Orietta e la pagò con du ove . - Il giovanotto è salvo – disse, e se ne andò. I mi amici un ebbino nulla.
Del resto, mi ma dicea sempre che un ero forte come glialtri bimbi, ma piuttosto fragolino ;anco la testa l’aveo piccola e fatta a colombino.Forse aveo anco pogo cervello. Andò bene che mi pa facea nottata al filo in Cava di Cima al Giardino, sennò le sentio le sosine . Era ormai notte fonda, mi ma mi rimboccò i lenzoli e disse:- dormi bimbo- Mi rigirai sul fianco piano piano, un’ aveo più dolori .
La finestra avea gli scuretti aperti : il celo quella sera cullava una fietta di luna sbiadita. Che giornata ragà ! Domane è un altro giorno.
Giulio Salvatori , o se volete –Il maledetto toscano-
Grazie a Tutte/i di cuore:- un tuffo nel passato fa sempre bene .Non è poi tanto difficile capire certi passaggi .
Che bello! mi è sembrato di ritornare bambini e correre scalzi per le strade del paese, magari prendendo qualche scappucciata. Grazie.
Quattro risate me le sono fatte veramente di gusto ,Giulio,con questi ritrattini delizioni ,che ho letto benissimo anche se …milanese.Sapessi quanto vi ho invidiati ,io cittadina obbligata al cappello ,guantini ,calze e scarpe .La mia fortuna era che nonna nn poteva restare in citta in estate .I miei affittavano una casetta in Valcuvia e io passavo 4 mesi con lei.Appena arrivati via scarpe e calze ,i miei amici di campgna mi aspettavano e finalmente potevo vivere,,combinarne di tutti i colori ,con una sola nota dolente ero sempre scorticata con gran disperazione di nonna.Una volta ho aiutato a scaricare il fieno e sono finita nella mangiatoia ,urlavo mentre la ruvida lingua della mucca mi leccava l viso no comment…..
Alcune spiegazioni per facilitare la lettura:- Albatrelli, sono i corbezzoli. Frasconi, il sottobosco bruciato dal sole. Scope, eriche . Bimboli, le foglioline delle eriche.Bozzi, pozze d’acqua. Piscialletto , erba con le foglioline allungate il suo nome è -tarassaco.
bello e simpatico io sono forse più giovane di Voi ma rubavo le ciliegie, che bello era
Voglio aggiungere solo grazie per i bei ricordi di gioventù che ci hai trasmesso Giulio, condivido in toto tutti i commenti degli altri amici.
Torno, dopo una lunga assenza, a ricambiare la visita dell’amico Giulio. Mi fa piacere leggere che gli amici storici, Alba, Franco, Lorenzo, Franci godono ottima salute e hanno conservato la voglia di scrivere. Il racconto di Giulio l’avremmo potuto scrivere molti di noi, soprattutto chi ha trascorso l’infanzia nei paesi e aveva la possibilità di giocare interi pomeriggi l’aria aperta. Le monellate di Giulio ci fanno ridere soprattutto perché ci fanno rivivere un tempo lontano, quando la fanciullezza era tempo di giochi e spensieratezza, quando con poco riuscivamo a divertirci, dove non si era mai soli e l’amicizia era un legame profondo. Questi giorni leggiamo le tristi vicende di bullismo, di ragazze uccise dai propri coetanei, di solitudini e abbandono, queste righe ci fanno capire che il benessere ha portato al degrado della famiglia e della società.
Giulio, i tuoi racconti di un vissuto pregno di contenuti che paiono quasi comici sono invece importanti, densi, ruvidi e, a volte, addirittura poetici. Sono la parte seminascosta delle tue radici di ragazzino che si conficcano nella fertile terra dei ricordi, indelebili come il richiamo di tua mamma, alla sera, per farti rientrare a casa. Incancellabili come le birichinate e la complicità che ti univa ai tuoi amici di quel tempo. Emozioni che non torneranno ma che resteranno indimenticabili nella tua mente e nel tuo cuore. Di questo e tanto altro ancora è fatto…il tempo che fu.
Vi ringrazio tuti. Devo dirvi che ho pensato molto prima di mandare il tutto alla Brava Franci. Pensavo fosse “pesantino”, ma poi mi sono deciso:capiranno che sono realtà dell’adolescenza di…qualche ahho fa. No Alba, non avevamo il gabinetto in casa ,ma qualcosa di molto “fine” nella capanna dell’orto.Meglio se mi fermo qui. Grazie per avermi letto.
Brava davvero Franci, hai trovato gli -scorzafrassi- e giro giro le bresche. Grazie , ottimo lavoro.
scusami ma mi sono fatta delle belle risate grazie a i tuoi racconti, mi hai fatto rivivere un spaccato anche della mia gioventù dove io come voi andava a rubare la frutta, allora la città non era ancora cementificata ed in periferia vi era ancora molte zone verdi.
Penso che quel clistere è un pezzo forte dei tuoi racconti,tanto è bello il tuo scritto che io vedevo la scena e ridevo, ma dimmi avevate già il gabinetto in casa? ho hai ingrassato l’orto?
ciao Giulio facci divertire ancora e poi non è stato difficile capirti
Sforzi se n’hanno da fare ma ci si riesce a capire l’essenziale e, con più fatica, anche di più. Ma che te pijasse un colpo, toscanaccio della malora. Ce voi fa’ ammattire, eh? A parte gli scherzi, sarai maledetto (io non l’ho mai riconosciuto e condiviso) ma sei troppo simpatico. Ed il tuffo nella lingua versiliese, oltre che utile, è anche dilettevole. Grande.
Te sè fortunato perchè sè ..toscano e maledetto ….e ti si capisce.
Comunque c’ero anch’io a mangiare le “sosine albarelle” …..io feci allora indigestione di more da gelso …quante piante ne aveva il nonno .Prima che i contadini facessero la foglia , andavamo a mangiare noi ragazzi a crepapelle ,erano begotti bitorzoluti e li mangiavamo ancora gialli e per questo ci veniva il mal di pancia …e anch’io ho patito un bel cristere a “cul bùsone” (vedi come è più volgare il mio dialetto!) . Grazie Giulio ,ritrattini deliziosi, acquerelli che farebbero la gioia di qualche novecentista. Però se volessi farlo io col mio dialettaccio celtico ,dovrei fare la traduzione simultanea.