LO SCULTORE DI LEONI - III° capitolo
CAP. III°
La casa dove da anni alloggiava Guglielmo era a due piani, si entrava da un grosso volto e si saliva per una angusta scala a chiocciola, la spessa porta sembrava quella di un castello, apertala ebbi veramente la sensazione di essere nella stanza di un mago. L'ambiente era alto e spazioso, con un unico pilastro di legno centrale ben fissato nel pavimento a mattoni, dalla cima di questo pilastro, partivano come struttura tante travi poste a stella, coperte da lastre di pietra ben allineate .
La stanza era chiusa in tre lati da mura di pietra spesse ed un lato era formato da due grandi bifore e da queste grandi finestre si poteva vedere buona parte di Mutina. Fu la prima cosa che feci, affacciarmi su questo nuovo mondo, brulicante di fiaccole e torce. Da un lato di una contrada salivano canti, cercai di capire, ma il parlato era così stretto e veloce che ne compresi poche parole, si parlava certo di una Lucilla, non proprio donna di buoni costumi.
Mi voltai e vidi Guglielmo sorridente che aveva acceso due grosse lucerne appese con catene al soffitto.
Mi appariva allora l'interno in tutto il suo splendore, infatti per me erano meravigliose le pergamene attaccate ai muri con disegni bellissimi di volute, foglie, visi di Santi, di uomini, di strani animali contorti. Mi muovevo tra quelle meraviglie con stupore e Guglielmo se ne accorse, guardando il mio viso dagli occhi spalancati e dalla bocca semiaperta.
"Non ho mai visto tante meraviglie Maestro, neppure nella bottega di mio padre, questi visi sono splendidi, nuovi, più veri di quelli che scolpivamo allora". "Vedi Solerio, questa terra dona un campionario umano più vario, qui si sono ben sposate l'anima latina e l'anima germanica e tutto ne traspare, cominciando dalle opere bellissime di Lanfranco, ed anche io ho sentito questi fascini nuovi, pur portando in me i segni del mio passato e delle mie terre".
"Gli uomini qui sono più lontani dall'Imperatore, sono uomini più vicini alla Chiesa, ma anche questa è per loro un vessillo per riscattare la loro libertà, ecco sono uomini liberi, lavoratori geniali ed instancabili, hanno creato una città ricca ed operosa e penso vogliano essere padroni dei loro destini, ecco perché dai visi che ritraggo vedi uno spirito nuovo, è una luce che sprigiona dai loro occhi, è una forza di volere, che a volte mi spaventa un po' e sconvolge le mie certezze e la propensione a rimanere ancorato alle mie tradizioni, vedi noi siamo schivi e taciturni, siamo forse forti come le rocce, loro sono forti come i leones che tu scolpisci, una forza diversa viva e dinamica". Ascoltavo interessato il mio buon maestro e cominciavo a capire che quello che spaventa di più l'Imperatore non è la lotta di sempre con i suoi Feudatari, ma è la nuova forza del popolo, di questa gente, che lascia il lavoro per edificare la sua Cattedrale, che diventerà il simbolo della città.
Doveva ancora sorgere l'alba che già sveglio, cercavo di intravedere le forme della stanza illuminata appena, mi alzai e mi affacciai per guardare la città che lentamente si preparava al giorno. Guglielmo, destato dai miei movimenti, si alzò in fretta e con il suo solito sorriso mi disse "Scendi, vai verso la fabbrica del Duomo, ti raggiungerò più tardi, vedo che non sai trattenere il desiderio di conoscer meglio Mutina".
Mi infilai in fretta una corta casacca, che aveva preso il posto della mia tunica da viandante e appoggiai sulle spalle un mantello, salutando uscii.
Le strade inumidite dalla bruma della notte apparivano come argentate, i lastricati antichi della piazza ingrigivano nella fredda luce dell'alba, le strette viuzze tra i canali erano scure linee di fango.
La città si presentava nel suo autunnale vestito di cotti lucenti e di marmi bianchi, di legni inzuppati di acqua e di gialle paglie di fiume.
La prima fu una donna ad uscir di casa, frettolosa, avvolta in un ampio drappo di lana, attraversò la piazza verso la vecchia Basilica del Santo, quasi nello stesso momento suonò lenta la campanella della chiesa. Apparvero dalle porte altre figure scure nella luce livida, tra i bagliori delle torce ancora accese agli angoli della piazza.
Una sentinella, dall'alto del torrione del castellaro, lanciò un richiamo, al quale subito risposero in eco altri richiami, dalle bertesche, dai bastioni merlati, dai contrafforti delle mura. Il sole intanto cominciava lentamente ad arrossare il cielo dietro i pioppeti delle paludi sino al fiume Panaro.
Cominciò piano, con rumori sempre crescenti a svegliarsi anche la fabbrica del Duomo.
Si sentirono le prime carrucole ed i primi colpi di maglio, nello spazio di pochi minuti la città era tutta sveglia, un vocio si sparse per le viuzze infangate, per i canali dalle acque scure, si aprirono alcune finestre ed il pallido sole autunnale illuminò l'interno delle case svegliando i fanciulli, che iniziarono il loro allegro e corale vociare.
Nella piazza, ora rosata dal giorno, si erano disposti in file approssimative i primi agricola, che ancor prima dell'alba si erano portati al di sotto delle mura in attesa dell'apertura delle porte, ora si preparavano ad esporre su arrangiate assi di legno, i prodotti del loro lavoro. Era uno splendido mosaico di uve multicolori, sfavillanti come pietre preziose nei toni del giallo oro, dell'amaranto, del blu, del rosso sangue.
Così rapito da queste immagini arrivai alla fabbrica del Duomo, mi accorsi solo ora della grande abside, ormai terminata e quasi attaccata alla grande torre quadrangolare. Ad un lato, vicino ad un grosso scavo, molti blocchi di marmo, alcuni mirabilmente scolpiti da quei grandi maestri che erano stati i romani. Guglielmo, giunto nel frattempo, mi disse che i più belli ed i meno profani sarebbero stati inseriti integralmente nel contesto della Basilica. Bellissimo era un angelo della morte con la fiaccola accesa.
Sotto una grossa pensilina di legno, accanto alla costruzione nella quale avevo mangiato il giorno prima, vi erano due blocchi di marmo rosso di Verona, sentii subito che erano quelli che nascondevano i miei leones, guardai in modo interrogativo Guglielmo, che mi rispose con un sorriso.
Mi avvicinai ai grossi blocchi, tastandone le dimensioni e le sporgenze.
Cominciai a misurar palmi e a contar passi, l'occhio aperto della porta a meridione era davanti a me, ora dovevo assieme a Guglielmo darle il vestito adatto.
Con l'entusiasmo tipico della mia età, srotolai la pergamena sulla quale avevo disegnato i miei leones e stendendola su di una liscia lastra di marmo ne studiai i contenuti.
Misurai con una virga le proporzioni e capii che avrei potuto dare ai Mutinensi una buona opera.
Con un certo timore diedi il primo colpo di scalpello, il marmo scheggiò via come uno spruzzo luccicando al sole e via altri colpi uno dietro l'altro, con foga, con esaltazione.
Erano ore che battevo su quell'informe blocco di marmo rosa e quasi mi ero dimenticato di mangiare, avevo soprattutto bevuto per calmare l'ansia e l'emozione dell'inizio del lavoro, quando si avvicinò un giovane magro dal viso ossuto e forte, dal colorito olivastro e dai lunghi capelli neri, vestiva una corta casacca con cappuccio di buona fattura, che ne stabiliva un buon censo.
Alzai la testa e lo salutai con un sorriso tergendomi con il dorso della mano il sudore misto alla polvere di marmo.
"Sei molto abile" mi disse "ma mi piace soprattutto l'entusiasmo e la passione che ispira il tuo lavoro" sorrisi ancora, continuando battere il marmo. "Sei quindi tu il giovane sculptore venuto dal nord al seguito di Guglielmo" annuii con la testa. Evidentemente i miei silenzi infastidivano il giovane, che voleva a tutti i costi conoscermi. "Mi chiamo Ugo, anzi Ughetto dei Carrari e dirigo per ora i trasporti per la fabbrica del Duomo, ma altre cose voglio, anzi devo fare, perché ormai i tempi sono maturi". Non capii cosa volesse dire, ma sorrisi ancora e dissi "mi chiamo Solerio". Il giovane mi batté una mano sulla spalla dicendomi "perché non smetti di picchiare su quel marmo e vieni a bene un bicchiere di vino alla taverna del Voltone?" "Con piacere" assentii, posai gli strumenti e mi pulii con uno straccio, buttandomi sulle spalle il mantello.
Ci incamminammo verso la vicina taverna conversando lietamente, avevo trovato il primo amico della mia età, con il quale avrei potuto trascorrere ore spensierate.
La taverna del Voltone, così chiamata perché ubicata sotto il grande porticato della piazza, era una enorme stanza senza finestre, che prendeva luce dall'ampio portone dell'ingresso, alcune grosse botti guarnivano una parete e tavoli lunghi alcuni metri ne percorrevano la lunghezza, attorno ai tavoli panche e qualche scranno, forse per gli avventori più importanti.
Ughetto fece portare due boccali di vino e prima di bere appoggiando la testa fra le mani con i gomiti puntati sul tavolo, guardandomi mi disse: "quei tuoi leones vedranno una Mutina diversa, una città non più asservita all'Imperatore ed ai suoi macellai, che spadroneggiano ancora sui monti" bevve un sorso invitandomi a mia volta a bere. "Mi chiederai perché ti parlo in questo modo, prima di tutto perché hai un viso sincero, poi perché fremevo dalla voglia di sapere cosa succede al nord, come vi comportate con l'Imperatore, avete fortificato le città?".
"La situazione in riva ai laghi è molto diversa, viviamo in piccoli borghi custoditi solo dalle acque e dalle grandi montagne che ci circondano, non ci poniamo problemi con gli imperiali, perché problemi non ne abbiamo, molti di noi sono chiamati per la nostra arte e questo ci pone in una situazione di privilegio e di rispetto". Ughetto mi interruppe "Ma avete sentito i fermenti delle città lombarde? Avete visto le angherie dei feudatari?".
"Nel viaggio per giungere a Mutina avevo più volte sentito voci di ribellione all'Imperatore, ma non credevo vi fossero giovani tanto accalorati nel combattere il potere".
"Non credere che sia un calore solo mio, tutte le gilde sono in fermento, perché la città deve essere retta non solo dal Clero e dai Milites, ma da tutte le Corporazioni, saremo noi gli arbitri dei destini della città, questo anche se dovremo sparger sangue".
"Non mi è parso che vi siano però soprusi e eccessi da parte dei Milites e mi hanno detto che gli uomini della Contessa sono spesso in contrasto con gli imperiali, che ho visto scorazzare per la via Aemilia arrivando".
"Imperiali, uomini della Contessa, sono tutti la stessa cosa, sì è chiaro, la Contessa Matilde è la grande capitana della Chiesa ed è stata anche nemica dell'Imperatore, ma è pur sempre il braccio del potere, anche se tra loro contrasti ve ne sono stati e che contrasti, ma è proprio su questi che noi vogliamo fare leva, per fare diventare Mutina libero Comune, come già si sta facendo in altre città della Lombardia. Non ho nulla personalmente contro Matilde, che ritengo sia una donna saggia e che ama sinceramente la Chiesa ed il suo popolo, ma è pur sempre Lei che evita che il governo comune nasca e quindi è anch'essa da combattere". "Io sono il capo della gilda dei carrai e ben altri dodici della mia corporazione sono pronti a scendere in piazza, poi vi sono i sellai di Bozzalino, i fabbri con Ubaldino da Soliera, i cestai della contrada Modonella e anche qualche Milites che nobilita certo la nostra causa".
"Abbiamo bisogno anche degli sculptores" disse sorridendo.
"Ma io non sono un Mutinense e soprattutto non riesco ad afferrare questa tua, questa vostra necessità di lotta, in una città come questa, retta saggiamente da un Vescovo buono e giusto “.
"Non ho nulla contro Dodone, che è uomo eletto dal popolo, è anzi il nostro vessillo contro l'Imperatore, però il Vescovo non può certo sbilanciarsi con Matilde e ora pare che ci sia nemico. Nella prossima festa di tacita intesa ci troveremo tutti in piazza presso la pietra d'arengo e proclameremo ufficialmente la nostra volontà di portare la città a governo comune, quel giorno vedremo come si comporteranno Dodone ed i Milites".
Bevemmo ancora, poi discorremmo di fanciulle, le lotte e la politica avevano lasciato posto ad argomenti più lieti, almeno per me.
Ughetto abitava non lontano dalla casa di Guglielmo e ci accordammo di rincontrarci la sera per far visita alla casa di Lucilla, presso la porta di Saliceto, dove varie fanciulle allietavano con balli ed altre dolcezze i giovani nottambuli Mutiniensi.
Tornammo alla fabbrica del Duomo ed io passai il resto della giornata a picchiar sulla pietra e a parlar con Ughetto, che alla fine di ogni trasporto veniva ad allietarmi con battute e lazzi.
La prima giornata di lavoro mi vide molto stanco e per un attimo pensai con sgomento alla nottata da Lucilla, ma poi immerso capo e braccia in una tinozza d'acqua fresca, sentii ritornare immediatamente le forze e l'entusiasmo per la allegra serata promessami.
Lo spiazzo era isolato e la casa di Lucilla, inserita nelle mura ad est della città, era costituita da un lungo muro di mattoni, che rosseggiavano alla luce di due fiaccole poste ai lati del piccolo portone, che era contornato da una fascia di intonaco colorato di un giallo vivo, che distingueva inequivocabilmente chi abitava in quel posto.
Alcuni giovani attendevano vicino alla porta ed era un corale ridere e scherzare, alcuni appartati, giocavano alla morra scommettendo qualche denaro.
Quando il gruppo fu abbastanza numeroso, come d'incanto la spessa porta si aprì ed apparve una grossa matrona, vestita con una tunica leggera giallo intenso, fermata alla vita da un laccio di cuoio al quale erano state applicate pietruzze multicolori. "Venite, venite" disse, facendo eco ad una risata sgangherata e cominciando a saltellare tra i giovani che si divertivano a motteggiarla e a toccarla ovunque.
Entrammo tutti in uno stanzone enorme, ove il tetto di canne e paglia era sostenuto da grosse travi, che partivano dalle mura stesse della città e che rappresentavano anche una parete della casa di Lucilla.
Lunghe panche di legno definivano una parte dell'ambiente, l'altra parte era delimitata da tante tende di lino, che formavano piccole stanze separate le une dalle altre.
La matrona ci fece accomodare sulle panche e dopo aver battuto le mani , apparvero due fanciulle con serti di foglie intrecciate sulla testa, una suonava un piffero di canna e l'altra batteva ritmicamente due piccoli piatti metallici dalla squillante sonorità, dietro a loro, coperta da veli dalla maliziosa trasparenza, vi era Lucilla che avanzava a leggero passo di danza. Lucilla era decisamente molto bella e molto giovane, la bellezza era pari alla sua fama, i lunghi capelli castani erano legati a più ciocche, che cadevano sulle spalle con nastri di vario colore, non aveva monili, ma soltanto alcune campanelle legate con laccetti alle caviglie, che tintinnavano dolcemente ad ogni suo flessuoso movimento.
Alcune lucerne illuminavano la stanza rendendo più vivide le carni della fanciulla, che sempre più freneticamente ballava, circondata dagli sguardi lucidi dei giovani. Lucilla con un ultimo guizzo dei fianchi fece cadere i pochi veli che la vestivano e cadde ignuda sulla stuoia, che copriva parte del terreno battuto, che faceva da pavimento alla stanza. Dalle tende uscirono altre quattro fanciulle, con corte tuniche gialle, che si unirono ai giovani che da silenziosi ed attenti si erano fatti vocianti e scomposti.
Ughetto si alzò ed aiutò Lucilla a sollevarsi, con falso pudore ella tornò a coprirsi con i suoi veli e ridatagli la mano si avvicinò con lui a me.
"Chi è questo ben giovane che non conosco?" Ughetto sommariamente mi presentò e rompendo i preamboli chiese a Lucilla di andare in un luogo appartato, sorridendo porse a me la mano e ci condusse in fondo alla stanza dove vi era una porta che conduceva in un piccolo ambiente ottenuto nello spessore delle mura.
Una tavola e qualche panca erano gli unici arredi, dall'alto pendeva una grossa lanterna di ferro.
Ughetto si sedette e mi indicò uno sgabello, appena fui seduto con l'agilità di una gatta Lucilla si sedette sulle mie ginocchia. Mi sentivo imbarazzato e forse ridicolo, ma la serietà del mio amico stemperò le mie timidezze.
"Solerio credevi che questa fosse solo una serata di gozzoviglie, invece ti trovi nel covo di chi vuol rendere Mutina una città libera", non aveva finito di parlare che si aprì la porta della stanza ed entrarono cinque uomini.
Ughetto li salutò con un cenno e disse "questo è lo sculptore del quale vi avevo parlato" e rivolgendosi a me "questi sono i capi delle gilde più importanti della città, Ubaldino, Rodulpho, Bozzalino, Nicolò e Bartolo.
Erano tutti più vecchi di Ughetto, forse Bozzalino dai capelli rossi tagliati alla franca era dell'età del capo dei carrai. Ubaldino, il capo dei fabbri, era alto e possente come una quercia, aveva i capelli ricciuti e neri con qualche luce bianca e la barba pure riccia e nera come la notte, portava una corta tunica di tela greggia con brache di lana verde ed uno spesso corpetto di pelle, alla sua cintola pendeva una spada, che forse con due mani avrei stentato a sollevare.
Rodulpho era il capo dei vasai, era forse il più vecchio, dall'aspetto nobile, dalla corporatura ben formata e dai capelli corti color dell'acciaio, Nicolò, capo dei sellai, era giovane, tarchiato, dalla faccia rubiconda e dal sorriso sempre pronto, anch'egli portava alla cintola uno spadone, che a volte strascicava per terra e che ogni tanto alzava ed usava come appoggio.
Bartolo dal vestire elegante, era l'unico che portava una collana d'oro e cornioli, con il simbolo della sua gilda, quella degli orafi.
Lucilla si alzò delle mie ginocchia, liberandomi da una posizione imbarazzante ed uscì entrando subito dopo con una grossa caraffa di vino ed alcuni boccali, li appoggiò sul tavolo e con un sorriso dolcissimo ed ammiccante uscì chiudendo la porta.
Ughetto, guardò gli amici, che nel frattempo si erano seduti con noi attorno al tavolo e disse "Fra due giorni cade la festa e noi con i nostri uomini e quelli delle altre gilde, dobbiamo trovarci nella piazza Grande alla pietra dell'arengo, per dare la prima dimostrazione di forza, porteremo i nostri stendardi e diremo le nostre ragioni.
Parleremo di libertà, della potenza della nostra città e dei nostri mestieri, diremo al Vescovo che vogliamo resti il nostro vessillo e che non vogliamo sudditanza né dall'Imperatore né da qualsivoglia lo rappresenti, diremo che la Cattedrale che stiamo costruendo è il giusto sepolcro al nostro Santo, ma è anche il simbolo della nostra unione e del nostro riscatto" "Queste sono parole pericolose, che non tutti approveranno" aggiunse Rodulpho.
"Delle parole dette dovremo dar conto ai posteri, di quelle non dette dovremo dar conto alla nostra coscienza" "a Dio vorrai dire" "ma è la stessa cosa, rendetevi conto che è di una coscienza nostra che ora abbiamo bisogno, di una decisa convinzione che i nostri destini solo noi possiamo realizzarli e che i tempi sono venuti e che è il momento di scendere in piazza e raccogliere attorno ai nostri vessilli chi come noi vuol fare di Mutina un libero comune".
La vivida fiamma della lanterna illuminava occhi umidi di esaltante consapevolezza, ci si strinse le mani in un accordo che non poteva essere rinuncia, poi si tornò nell'allegria e nella spensieratezza di quel luogo, per finire una notte carica di emozionanti presagi.
(segue - lunedì 22 Giugno)
oggi con calma mi sono letta i due capitoli e mi ha incuriosito la storia, vedete che serve da stimolo a leggere,
così ho aperto wchipedia eapprofondito la storia del Duomo di Modena di cui metto un bel video https://youtu.be/TuvAtnkoOlg
Ottima la decisione di ravvicinare nella lettura alcuni capitoli di questo bel romanzo di Franco Muzzioli! Leggendo il primo capitolo mi sono sentita trasportare indietro nel tempo, nelle usanze, nei costumi dei tempi addietro per cui ogni minimo particolare doveva essere assimilato e interiorizzato. Infatti Franco ha saputo descrivere con estrema precisione ogni minima atmosfera del tempo, per cui il lettore viene introdotto nel passato. I capitoli ravvicinati permettono ai lettori di non allontanarsi troppo dall’ insieme del periodo. Forse.il “ quarto di copertina” sarebbe servito all’inizio ,in modo da permettere subito di entrare nel periodo storico .Termini così lontani nel tempo, costringono a “rifarsi” nella mente e nell’attenzione, fuori dalla sola lettura scorrevole e a fantasticare come si vedesse un bel film, con attori agghindati e recitanti con atteggiamenti inusuali, ma molto interessanti. E ora il seguito…….
…E nascono i primi moti che anticipano una forma di democrazia basata sull’eguaglianza di diritti e doveri e la partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere pubblico.
Libertà dall’Imperiale!
Con l’Arte di mezzo mi intriga un sacco.
Aspetto con ansia il prossimo capitolo.
Bene! Non mi metto certamente a fare il critico letterario, con Franco ho fatto un percorso a ritroso nel tempo. Una descrizione “fotografica” minuziosa dei luoghi. Grazie Franco
Devo ringraziare Francesca ….perchè anche per me una lettura ,diciamo frammentata, da la possibilità di cogliere imperfezioni che correggerò, con qualche refuso nato forse dalla copiatura.
E la storia continua…. Un vero romanzo storico, dove si narrano le gesta di Solerio e di un intero popolo, siamo nell’anno 1100 fervono moti di ribellione, a Mutina, mentre vanno avanti lavori per la grandiosa opera, i giovani scalpitano per cambiare il potere, per far diventare Mutina un libero comune. Mi è piaciuta molto la descrizione del Paesaggio, natura, città, palazzi, sembra di vivere in questi luoghi, una lettura che mi coinvolge e arricchisce! Torno a affermare che questa scelta di pubblicare un testo nei blog è interessante, spero che anche gli scettici cambino parere, perché non provare a leggere, basta così poco tempo…