Un giorno di marzo è arrivata una malattia. Non me la ricordo bene, perché son passati tanti anni. Era una roba che ti prendeva i polmoni, il sistema immunitario, rendeva difficile respirare, e ogni tanto t'ammazzava. Una roba brutta insomma, che c'ha tenuto in ostaggio, ai domiciliari, a guardare dalla finestra, ad aspettare non si sa cosa per mesi.
Una roba che s'è mangiata una delle nostre primavere e tanti parenti, amici, vicini, senza neanche lasciarci il tempo per salutarli.
È durata un po', non saprei dire se tanto o poco. Poi un giorno è passata.
Ecco, il giorno che è passata, invece, me lo ricordo abbastanza bene, perché ho preso la bicicletta. Io ho una bicicletta grigia, bellissima, mai usata. Ho preso sta bicicletta bellissima e nuova e sono uscita e sono andata in stazione e ho lasciato lì la bicicletta, senza manco il lucchetto e ho preso un treno. Un treno a caso. Sono andata in un paese vicino e mi son fatta un giro. E tutti erano in giro. Tutti buongiorno, salve, come sta? Finalmente eh? Tutti con le facce sorridenti, tutti ma chi si vede!, anche se non c'eravamo mai visti.
Sono stata a passeggiare fino al tramonto che, quel giorno lì me lo ricordo, non arrivava più. C'eravamo dimenticati che era praticamente estate e allora tutti a guardare il sole e a dire, ma ancora c'è luce, ma questa giornata quando finisce? Alla fine però è arrivata la sera e io me ne son tornata a casa. Tutti ce ne siamo tornati a casa.
Poi è stato strano, perché le cose ci hanno messo un attimo a ritornare normali. Un attimo, davvero. Così, abbastanza presto, abbiamo ricominciato a romperci le scatole, a sbuffare, a guardarci storto, a farci i cavoli nostri. Ma non puoi andare te? Va be', vado io chepalle però.
Abbiamo ricominciato con le piccole ipocrisie, i piccoli egoismi quotidiani. A ignorare i problemi solo perché non erano i nostri. A incazzarci spesso. A generalizzare, a dimenticare quelli che fino all'altro giorno applaudivamo. A scordarci di chi aveva fatto e di chi aveva solo parlato. Insomma, abbiamo ricominciato a essere noi.
Però, non lo so.
Quando così tante persone tirano un sospiro di sollievo tutte insieme, al mondo qualcosa deve succedere. E, secondo me, è successo. Poca roba, eh.
Le ambulanze per esempio. Adesso, chissà perché, la gente per strada, in macchina, le notava di più, ci spendeva un secondo in più, un pensiero diverso da prima.
E poi come stai. Come stai, te lo chiedevano tutti e abbiamo continuato a chiedercelo molto più spesso per tutto il resto di quell'anno. E ti voglio bene, anche. Anche ti voglio bene se lo dicevano tutti quanti molto di più.
E non ho mai più avuto voglia di andare a un concerto, a un museo, a una festa come quell'anno lì. E che bello che è stato il primo concerto, la prima festa, gli amici, le storie, che hai fatto? E che ho fatto, son stata a casa.
E casa mia per un sacco di tempo m'è sembrata ancora più piccola.
Nei mesi e negli anni successivi si è, ovviamente, continuato a parlare del periodo della quarantena, dell'anno a metà, della vita sui social, dei lutti e del surplus di foto simbolo che c'ha lasciato. Chi l'aveva trascorso sul divano, chi se l'era fatto in ospedale, chi non gliene era mai fregato niente, chi se lo sogna ancora la notte e chi non ne può più di sentirne parlare.
So che pare strano, e forse è pure una mezza cazzata, ma nonostante ciascuno se lo ricordi un po' a modo suo, a me pare che quell'anno lì a tutti ci sia toccata la stessa consapevolezza.
Quella di essere sopravvissuti.
Caro Guglielmo , guardo le stelle nuovamente oscurate dallo smog e dall’eccesso di luci artificiali , vorrei donare qualcosa agli altri, ma quando vedo in una piazza misconosciuta dai più, “gli invisibili” , che non hanno patria , diritti, umana comprensione. Quando sento che madri ,prima decorosamente impiegate , devono pietire un pasto per alimentare i figli, allora il mio innato ottimismo si perde in pensieri cupi e rimane la speranza ,che come tu sai è l’ultima dea e il senso di colpa verso i miei niopoti e pronipoti. Ma mi direte “e noi che c’entriamo ?” C’eravamo , ci siamo , abbiamo contribuito alla distruzione della terra con il nostro consumismo dissennato, con la scelta di politiche che non privilegiavano “l’altro” …cari Guglielmo, Giulio e cara Francesca , è difficile chiamarci fuori. Speriamo, speriamo, speriamo .
Dal comportamento delle persone, si capisce che quel “buonismo” ventilato da moltinon c’è, è già passato. Riaffiora l’indifferenza come se non fosse successo nulla. Come di botto, le immagini di tutti i camion dell’Esercito cariche di bare, fosse stato un montaggio della TV.Comunque apprezzo il tuo modo di scrivere senza fronzoli, rovesciato sul tavolo del lettore.Immagini che tutti abiamo visto e sofferto. E Ora? Vediamo a ottobre o novembre, cosa abbiamo imparato. Cosa ci ha insegnato quella Grandinata che accennavo.
Quell’anno li…chi ha un pizico di uon senso, non lo può dimenticare, non lo deve dimenticare.L’ho paragonato come una grandinata che rovina il raccolto, che spezza i rami delle viti e dei frutti e, che ci vuole degli anni perchè ridiano i frutti.
Di notizie buone,per ridere di più e divertirti pensare sempre in positivo, per ricavarne il meglio, donare qualcosa per gli altri.
Che il tempo sia per stupirti sempre di più senza tanto correre. Per guardare meno l’orologio e più le stelle.Gu.
Francesca dovrebbe scrivere di più perché lo fa benissimo !
Questo suo dopo bomba, dopo guerra, dopo virus, dopo, dopo , nella nostra fantasia speranzosa non potrebbe essere che così, ma questa sua bella cartolina colorata a mano , con un finale pieno di desiderio di pace ed amore ,penso sarà difficile possa avverarsi, perchè non basterà neppure essere dei sopravvissuti. Sopravvivere per non avere lavoro e per mangiare daver andare alla Caritas? Sopravvivere per essere in un mondo di vecchi e di badanti perchè bimbi non ne nascono più ? Sopravvivere per vedere sempre più disuguaglianze e ingiustizie ? Sopravvivere per veder morire la terra ed attendere un altro virus? “Quell’anno lì” come tu lo chiami con un salto nel futuro , speriamo rimanga un brutto ricordo del passato… ma !