LO SCULTORE DI LEONI
CAP. IV°
Tornato a casa di Guglielmo a notte fonda, mi coricai silenziosamente nel mio giaciglio, ma non riuscii a prender sonno, mi galoppavano nella mente i ragionamenti di Ughetto, questo nuovo modo di concepire la vita, parole nuove che non avevo analizzato a fondo, libertà, riscatto. In fondo non dovevo pretender nulla di più dalla vita, avevo la considerazione dei potenti, il cibo ed una certa agiatezza nel futuro. Ma l'essere arbitro dei propri destini, il non avere potenti da ossequiare, diventare uomo libero tra uomini liberi è certo un pensiero esaltante, che pone la propria esistenza al di sopra delle vicissitudini quotidiane.
Fino a ieri ero inconsapevole pedina di chi comanda il mondo, Imperatore o Vescovo che fosse, ora mi sentivo padrone della vita, carico di entusiastico furore, come se anche per me questa terra sanguigna e generosa fosse l’unica patria. Nell'esaltazione di questi tumultuosi pensieri mi assopii, mi svegliò la mano amica di Guglielmo "ragazzo, l'alba è spuntata da un pezzo, i tuoi marmi ti attendono, oggi è giornata di sole sfruttala a dovere". Aprii lentamente gli occhi e non riuscii a sollevarmi dal guanciale, evidentemente la mala nottata mi aveva lasciato un notevole residuo di sonno.
Guglielmo volle sapere il perché di questo mio essere assonnato e gli raccontai allora l'avventura della serata.
Egli mi ascoltò con il viso preoccupato, la mano che ogni tanto prendeva la fronte, come in un più profondo ragionare, quando ebbi finito egli trasse un respiro profondo e guardandomi severamente mi disse "ti stai cacciando in un maledetto ginepraio, ho già sentito queste voci su esaltati giovani delle gilde, c'è chi pensa siano sobillati da qualche nobile per prendere il potere nella città" "no Guglielmo!" ribattei con foga "è il popolo che esige la sua libertà di reggersi a comune, come già stanno facendo molte città lombarde, non c'entrano vassalli o conti, anzi sono loro che bisogna combattere, sono i servi dell'Imperatore, i giovani che tu stai disprezzando e bada non sono solo giovani, vogliono il governo della cosa comune sotto il vessillo della Croce in nome della libertà".
I giorni che precedettero la festa li impiegai a lavorare indefessamente, percuotevo con vigore, abbozzando sempre più i due leones, che già si immaginavano nella loro possanza e maestosità, sentivo che la mano quando vibrava il colpo di martello per scheggiare il marmo era guidata da nuovo entusiasmo, come se i miei leones dovessero rappresentare la volontà di riscatto di una intera città.
Con un alba livida ed autunnale arrivò la festa, avevo trascorso la notte in sogni confusi ed agitati e già mi stavo preparando per correre nella piazza. Guglielmo, fino ad allora silenzioso, mi invitò ancora una volta alla prudenza, e preoccupato sinceramente delle mie nuove amicizie.
Quando giunsi nella piazza Grande, già più di cinquecento Mutinensi la occupavano, con gli stendardi delle gilde e quelli gialli e blu della città. Ughetto e molti altri erano vicino alla pietra d'arengo, posta vicino alle rovine della vecchia Cattedrale. Li raggiunsi facendomi strada tra la folla, che già cominciava a rumoreggiare. Sugli spalti del Castellaro si erano posizionati parecchi armigeri e vicino al portone del vescovado vi era "baffo di rame" con altri armati. Ughetto mi salutò con un grande sorriso e mi invitò a salire sull'arengo, sorridendo a mia volta feci un cenno di diniego, mi appoggiai alla pietra con i gomiti e tenendomi il viso con le mani, mi preparai ad un comodo ascolto. Ughetto in piedi sull'arengo, sollevò le mani per chieder silenzio, che fu quasi immediato ed irreale, si sentivano solo i gracchianti corvi della torre, che volteggiavano sulla piazza.
"Mutinensi" iniziò il capo dei carrai "il giorno del nostro riscatto è giunto, la volontà di reggerci a comune la esprimiamo ufficialmente oggi per la prima volta in questa nostra grande piazza sotto la protezione del Santo Patrono", esplose un grido di giubilo comune, che coprì ogni voce ed ogni rumore.
Ughetto proseguì "sappiamo che l'Imperatore si prepara a combattere le città lombarde che già si sono proclamate Comune e quindi sappiamo che questa nostra scelta vuol dire sacrificio e consapevolezza che quello che cerchiamo di ottenere, dovrà essere difeso anche col sangue". Ancora un grido della folla echeggiò alto nella piazza.
"Dobbiamo innanzitutto armarci e chiedere la protezione del nostro amato Vescovo e dei Milites, Mutinensi anche loro e di nobile stirpe". Le grida ormai scandivano ogni frase che Ughetto diceva.
"Dobbiamo diffidare soprattutto di certi vassalli, che hanno le loro dimore fuori dalle mura e che non amano certo di perdere potere, quel potere che ingiustamente gli ha dato l'Imperatore, che noi non riconosciamo, egli non parla la nostra lingua e teme sudditi potenti che si vogliono reggere a comune".
Notai, essendo in una posizione elevata della piazza, uno strano andirivieni presso il portone del vescovado e cotte rosse, molte cotte rosse muoversi verso la piazza, erano certo gli imperiali.
Vidi risplendere in aria lame lucenti e picche e sentii le prime grida di dolore di Mutinensi caduti sotto il ferro degli uomini dell'Imperatore.
Pochi erano gli armati tra i Mutinensi, "baffo di rame" e gli armigeri forse erano stati resi all'impotenza, quindi impossibile sarebbe stata una difesa. Vi fu un primo sbandamento, poi una folle fuga verso i vicoli, verso le case, verso le chiese. Sull'arengo vi fu un attimo di perplessità, Ughetto tentò di urlare qualcosa, ma il clamore della folla atterrita ed in fuga coprì ogni parola, qualcuno gridò ad Ughetto di fuggire "se ci prendono ci uccidono subito" gridò Bozzalino "e senza di noi la causa è finita"; ancora un attimo di smarrimento, poi anche i capi delle gilde trovarono che l'unica soluzione era la fuga. Sentii Ughetto che con vigore mi prese un braccio, urlandomi "seguimi". Tra grida e spinte riuscimmo a guadagnare una piccola viuzza attigua al Castellaro, Ughetto correva all'impazzata, continuando a gridare "seguimi, seguimi!"
Arrivammo al canale Modonella e già con la coda dell'occhio vedevo le cotte rosse degli imperiali, che avevano imboccato la strada da noi appena percorsa. Ughetto saltò senza troppi indugi nel maleodorante canale ed io lo seguii con un attimo di timore. Nelle acque limacciose Ughetto mi afferrò e mi trascinò verso la sponda formata da un grosso muro dove si apriva un varco rotondo, che poteva apparire a prima vista l'uscita di una fogna e che a stento poteva essere passato da un uomo di grossa corporatura.
Entrammo a fatica in un cunicolo buio e già all'esterno si sentivano le grida degli imperiali che ci stavano cercando.
Dopo poco mi abituai al buio e vidi che eravamo in un ambiente quadrato sufficientemente grande, dal quale partivano due stretti corridoi, due cunicoli immersi completamente nel buio.
Ughetto staccò da una parete una fiaccola e con un acciarino l'accese e subitamente si incamminò per uno dei cunicoli, facendomi segno di seguirlo.
Dopo aver percorso qualche metro Ughetto sentendosi forse al sicuro, cominciò ad imprecare verso l'Imperatore e gli imperiali, lo interruppi chiedendo dove mai fossimo. "Siamo in un antico cunicolo fatto dai romani in epoca remota, cunicolo che collegava il tempio di Apollo, dove ora sorge quello che rimane della vecchia Cattedrale, con il tempio delle vestali, dove ora sorge l'abbazia di S. Pietro fuori delle mura", "sbucheremo quindi in un monastero" chiesi ancora "sì è un convento di clausura che nessuno può violare, uno dei monaci è mio zio materno e certamente ci ospiterà e ci terrà al sicuro".
Continuammo a percorrere questo stretto cunicolo, tra maleodoranti gocce di umidità, tra topi ed insetti di ogni tipo, per almeno mille passi, tosto cominciammo a vedere la luce del giorno ed in breve giungemmo alla base di un pozzo, certamente ormai in disuso. Con una certa fatica risalimmo alla superficie mediante una catena arrugginita fissata con un grosso anello di ferro.
Eravamo sbucati nel mezzo di un cortile polveroso, contornato da un alto muro, con a lato un piccolo orto ben tenuto ed un portone che si apriva in un'ampia parete dell'abbazia.
Ughetto si appoggiò al muretto del pozzo e buttò la testa indietro come per pensare e ripigliare fiato , mi disse a mezza voce "qualcuno ci ha traditi ed ha chiamato gli imperiali, chi poteva saperlo, chi potrà essere stato" "ma tutti i Mutinensi lo sapevano" dissi "non credi siano stati uomini di Matilde?" "no la Contessa mai, ha troppo in odio l'Imperatore, forse l'uomo di qualche valvassore del Frignano, un odiato servo dell'Imperatore, uno sfruttatore del contado".
Ma era vano in quel momento pensare all'ipotetico traditore e forse non lo si sarebbe mai conosciuto, ora si doveva correre ai ripari, riorganizzare le fila, armarci, scacciare gli imperiali dalla città e porsi a comune sotto la tutela della Chiesa.
La risalita dal pozzo, le nostre parole, rumori non certo forti, ma nel silenzio del monastero erano stati avvertiti da alcuni monaci, che già accorrevano armati di zappe e forcali.
Si avvicinarono circospetti cercando di capire chi mai fossero questi giovani usciti dal pozzo, a togliere ogni paura e tensione fu proprio Ughetto, che sorridendo si incamminò verso di loro a braccia spalancate gridando "Gandolfo, sono tuo nipote". Il monaco che era in testa e brandiva un lungo forcale si arrestò, guardò meglio e ridendo gettò in terra l'attrezzo, "nipotaccio mio, ci hai fatto una bella paura, vedere spuntare dal pozzo due uomini non è cosa di tutti i giorni". I due si abbracciarono ed Ughetto raccontò per filo e per segno tutto l'accaduto.
Gandolfo, monaco corpulento sui sessant'anni, dalla folta barba grigia e dalla faccia rubizza, scosse più volte la testa "avevamo sentito anche noi parlare delle vostre imprese e della voglia di far chissà che cosa, ma non state bene sotto la tutela del vescovo?" "Dodone è un uomo illuminato e pio" ribatté Ughetto "ma non è contro Dodone che stiamo combattendo, il Vescovo e la sua Chiesa saranno sempre il nostro vessillo, è dall'Imperatore che vogliamo staccarci, il reggerci a comune è cosa giusta, è il popolo che deve pensare al suo governo e non l'Imperatore ed i suoi feudatari, che impongono in maniera dispotica le loro leggi".
Il monaco restò pensieroso ad ascoltare il nipote assentendo con la testa, anche gli altri monaci assentivano, alcuni addirittura in maniera entusiastica.
Gandolfo invitò tutti ad entrare nel convento, il cortile era visibile da una delle torri della città e gli imperiali stavano setacciando ogni luogo in cerca dei fuggiaschi.
Per prima cosa ci portarono in una cella, dove erano state approntate in fretta due tinozze d'acqua e potemmo lavarci e toglierci i vestiti ancora impregnati dalle maleodoranti acque del canale.
Il monaco disse che per qualche giorno era necessario rimanessimo nel convento, per attendere che maturassero gli eventi e per fare con tranquillità un piano di fuga ed un successivo piano di riscossa.
Stavamo ancora rassettandoci, che arrivò Gandolfo con Guglielmo, con aria severa si avvicinò a me e disse "se sapevo in che pasticci ti sai cacciare non ti avrei mai fatto venire a Mutina, sei certo migliore a fare guai che a scalpellare la pietra". Nelle sue parole vi era il rimprovero paterno, la preoccupazione del vecchio che ha in cuore solo la tutela del suo figlioccio e non sente le trasformazioni dei tempi e che vive ancora nel rispetto per tutte le tradizioni, anche quelle che vincolano la libertà.
La mia prima risposta fu "ma come hai fatto a sapere che eravamo nel monastero di S. Pietro?" "le finestre della mia casa, come tu sai, guardano anche il canale Modonella ed ero proprio là quando è successo il tumulto, ero preoccupato e volevo vedere che nulla di male ti accadesse e nello stesso tempo non volevo confondermi con una folla con la quale non condivido queste smanie di libertà, quale miglior osservatorio della mia finestra". "Ma non capisco ancora come hai fatto a sapere" ."Ho visto buttarvi nel canale e sparire, solo io e Lanfranco e, a quanto ho compreso anche qualche altro, sappiamo della esistenza del cunicolo, lo scoprimmo nel togliere alcune pietre dell'antico tempio e lo percorremmo quasi interamente, arguendo poi che sarebbe arrivato al monastero di S. Pietro, ho tirato le somme e conoscendo anch'io questo buon monaco, che come unica sfortuna ha quella di avere un nipote un po' matto, sono venuto a battere questa porta".
Ughetto prese tutto questo con allegria, come il rimbrotto tedioso di un vecchio che non accetta che i tempi cambino, disse soltanto "buon Guglielmo sono certo della vostra buona fede e consapevole della vostra arte e della vostra sapienza, come sculptore e uomo di scienza, ma nessuno neppure la vostra buona coscienza, può fermare il fiume di libertà che ormai sta correndo per la pianura, che vuole i cittadini padroni dei propri destini e delle proprie città, noi non siamo folli scavezzacolli, abbiamo in animo il bene di tutti e tra di noi non vi sono soltanto giovani esaltati, come voi credete, ma anche maturi milites, ricchi commercianti, che non avrebbero nessun interesse a far cambiare questo stato di cose e se lo fanno è perché ritengono giusto che a reggere il potere non sia un signore o l'Imperatore, ma il popolo stesso".
Guglielmo scosse la testa e con un filo di voce disse "forse sono troppo vecchio e tutti i cambiamenti mi spaventano... ma ora vediamo un po' il da farsi".
"Nessuno al di fuori di noi sa che siete qui nel monastero, quindi potete rimanere qualche giorno ancora, anzi andrò in città per sentire se anche tu Solerio sei ricercato, perché penso che nessuno ti abbia riconosciuto e quindi potresti nascostamente ritornare e riprendere il lavoro, credo che gli imperiali non abbiano capito la meccanica della vostra fuga e ho sentito che stanno cercando Ughetto ed altri fuggiaschi nelle campagne attigue alla città, forse hanno pensato ad una fuga a nuoto attraverso i canali oltre le mura. Voi attendete pazienti, ritornerò questa sera con le notizie" detto questo se ne andò senza aggiungere altro.
Passammo la giornata ragionando sulla fuga degli altri, su chi potessero aver catturato, sulle possibilità di reazione e di cacciata degli imperiali.
La sera si era fatta fredda ed una fitta nebbia gravava sul monastero, attendevamo con ansia l'arrivo di Guglielmo. Finalmente sentimmo battere alla porta, era infatti il maestro che frettolosamente entrò guardandosi alle spalle.
"Solerio dobbiamo tornare in città questa sera stessa, ho l'impressione che qualcuno mi abbia seguito e anche tu Ughetto devi andartene al più presto, se gli imperiali sospettano che qualcuno si è rifugiato qui non esiterebbero ad entrare, essi non hanno rispetto di nulla né di Chiese né di Monasteri".
Pensai che era molto strano che Guglielmo si esprimesse così, evidentemente erano successe molte cose e le sue opinioni stavano cambiando, lo incalzammo di domande per saperne di più.
"Gli imperiali non sospettano di te, si crede che tu sia ancora chiuso in casa, il tuo volto non è ancora ben conosciuto e collegato con i rivoltosi, quindi in qualche modo questa notte ritorneremo in città".
"Ma che hanno fatto gli imperiali" rincalzò Ughetto.
"Hanno ucciso una ventina di cittadini e ne hanno catturati altrettanti, solo l'intercessione di Dodone, ha fatto sì che molti di essi siano stati rilasciati e che i corpi dei morti siano stati dati alle famiglie e non subissero lo scempio degli imperiali. Chiusi nelle gabbie, fuori dal Castellaro vi sono Rodulpho e due giovani che non conosco" "ma Rodulpho è anziano, non reggerà al freddo ed alla fame" aggiunse quasi gridando Ughetto.
"Ora gli imperiali stanno scorrazzando nelle campagne per cercare i fuoriusciti ed in città vi è una relativa calma, "baffo di rame" ed alcuni milites, stanno cercando di smorzare gli animi e di nascondere i ricercati, se non ci fossero stati loro ad arginare gli imperiali, sarebbe stata una carneficina".
Guglielmo rimase un attimo pensoso poi aggiunse "ora io e Solerio riprenderemo questo benedetto cunicolo ed usciremo nel bel mezzo della vecchia Cattedrale e rimarremo nella fabbrica del Duomo sino a domani, dovranno trovarci con gli scalpelli in mano, come se nulla fosse accaduto, ho già preparato vestiti puliti, che troveremo presso i nostri attrezzi di lavoro.
Consiglio a te Ughetto di fuggire quanto prima nel bosco e trovare rifugio presso il contado, alla macchia ti sarà più facile farla franca e metterti in contatto con gli altri fuggiaschi, io e tuo zio Gandolfo faremo di tutto per farti tornare presto tra le mura", il vecchio monaco con gli occhi lucidi assentì più volte con la testa.
"Ora, Solerio, andiamo, la notte e la nebbia ci proteggeranno".
Guglielmo si calò a fatica nel pozzo, io lo seguii una certa agilità, portando una grossa torcia che avrebbe rischiarato il nostro cammino non facile . Il cunicolo parve ancora più stretto della prima volta, quando lo percorsi nella fuga precipitosa, ora addentrandomi lentamente e con circospezione, potevo meglio vedere le pietre sconnesse poste a dimora dai romani parecchi secoli addietro, una fanghiglia untuosa e leggera traspirava dalle connessure e si spandeva sul selciato rendendolo alquanto scivoloso.
Guglielmo procedeva a braccia allargate, appoggiandosi ora ad una parete ora all'altra per non scivolare malamente a terra.
Cominciammo a poi vedere strani segni su alcune lastre, sembravano incisi da secoli perché quasi consunti e che non avevo notato nella giornata precedente forse nell’ansia della fuga . Sembravano occhi di varia grandezza posti in fila come per dare un messaggio, geroglifici o emblemi simbolici. Guglielmo si fermò detergendosi gli occhi da una umidità pesante che bagnava ogni cosa e mi fece avvicinare la fiaccola alla parete.
"È strano" disse "sembra un simbolo egizio o forse è un simbolo del dio Mercurio, questo cunicolo portava dal tempio di Apollo a quello delle vestali non capisco cosa possa voler dire questa simbologia, i romani molte volte si esprimevano per enigmi".
Mentre Guglielmo esaminava e tastava con la mano illuminando con la fiaccola queste iscrizioni, io vidi una grossa connessura tra due lastre e mi parve di sentire un soffio d'aria, spinsi forte con tutte e due le mani e sentii che la parete pian piano cedeva dolcemente lubrificata da questa untuosa fanghiglia. Guglielmo rimase un attimo interdetto, poi senza parlare appoggiò la fiaccola e mi aiutò a far forza su questa pietra che si dimostrò una vera e propria porta. Dopo qualche minuto e non con piccoli sforzi, ci si aprì d'innanzi un varco che permetteva comodamente il passaggio di un uomo, raccolsi la fiaccola e ai nostri occhi apparve un altro cunicolo diritto, della larghezza di quello che stavamo percorrendo. "Mercurio dio delle fughe" disse Guglielmo sorridendo "forse conduceva oltre i sacri recinti dei templi e non doveva essere noto a molti".
"Proviamo a percorrerlo per vedere dove sbuca" dissi con una certa smania di avventura. Ma Guglielmo mi fece capire che già avevamo problemi con gli imperiali e che sotto quei cunicoli non era molto piacevole restare e prese nuovamente ad incamminarsi verso l'uscita. Come se non lo avessi ascoltato mi incamminai nel nuovo cunicolo. Guglielmo perse per un attimo la sua apparente calma e mandando alcuni improperi mi seguì sguazzando in una mota verdastra che arrivava al polpaccio.
Non so quanto tempo passò lungo questo cunicolo rettilineo, certamente percorremmo parecchie centinaia di passi, poi improvvisamente terminò con una scala di sasso, che finiva contro una lastra di marmo trasudante erbe e piccole stalattiti di calcare. Salii in fretta le scale sdrucciolevoli porgendo la fiaccola a Guglielmo, che si protese quanto più poté per illuminare quella che doveva essere l'uscita.
Feci forza con le braccia e riuscii a spostare di pochissimo la lastra, che lasciò entrare il fresco dell'aria libera ed il leggero chiarore della notte.
"Oltre questa lastra siamo all'esterno" dissi con una certa eccitazione "È necessario far leva in questa apertura per poter spostare il marmo", pensai a cosa poteva servire allo scopo e vidi che la torcia aveva una piccola asta metallica, che serviva da sostegno. Con quella potei far leva e spostare, non senza fatica e a lato, la grande lastra che lasciò un varco che poteva permettere di sporgere la testa.
Con una certa circospezione guardai fuori e mi trovai a qualche centinaio di passi dalla porta Est della città e la lastra che avevo spostato era quella di una delle tante tombe romane che affiancano la via Aemilia.
"Siamo fuori dalle mura della città" dissi a Guglielmo, cercai di far forza ancora sulla lastra in modo che lasciasse lo spazio utile per affacciarci in due.
Anche Guglielmo salì e vide con stupore le mura della città, con i fuochi di veglia accesi sulle bertesche e le sagome degli armigeri che facevano la ronda sugli spalti.
"Questa era certo la comoda via di uscita di qualche vestale, che voleva uscire dai recinti dei templi", disse sorridendo Guglielmo "è anche un ottimo modo per uscire dalla città accerchiata".
"È cunicolo che deve restare segreto e che ci permetterà di recuperare i nostri compagni fuggiti".
Decidemmo di ritornare sui nostri passi, ma prima cercammo di pulire più che potemmo con l'asta di ferro le connessure della lastra tombale, per poterla meglio aprire in una eventuale necessità.
La richiudemmo e cominciammo poi a ripercorrere il cammino per ritornare alla fabbrica del Duomo.
(segue - mercoledì 24 Giugno)
Con piacere si continua a leggere le avventure dei protagonisti, gustando tutte le preziosità che l’autore ha saputo cercare e inserire,nel linguaggio dell’epoca e soprattutto nella descrizione dei costumi.
La trama si sta veramente facendo sempre piu’ avvincente e interessante ,anche Franco nel suo racconto e presentanto i personaggi sta lavorando di cesello ,interessa molto ,bravo!!!!!!!!
Il nostro baldo e giovane Solerio sta scoprendo un mondo nuovo e il valore della libertà. Libertà dall’Imperiale, dai potenti oppressori. E lavora con furore, quasi a voler riscattare, col suo entusiasmo, la città intera. Ma come in tutte le rivolte per proclamare e difendere i propri diritti, si scatenano rivolte e ci sono vittime. I tempi stanno mutando.
Ma i cunicoli segreti mi attraggono enormemente.
Che succederà ancora? Quale strada sceglierà Solerio? Speriamo non abbandoni la sua missione, scolpire i leones. Ma io parteggio anche per la libertà.
Lo sapremo (forse) nel prossimo capitolo.