Non so se a casa vostra è successo come a casa mia, nel senso che quando bisognava fare un acquisto che impegnava l’economia domestica, ad esempio  il frigorifero, la lavatrice o un mobile, una delle caratteristiche che veniva ritenuta imprescindibile nella scelta del prodotto da acquistare era la robustezza, la sua capacità di durare nel tempo. 

Soltanto i ricchi possono permettersi il lusso di sprecare, diceva mia nonna. Tutti gli altri invece, quelli insomma come noi che ricchi non erano affatto, quando un prodotto cominciava a perdere colpi chiamavano il tecnico per riparare.

Si cambiavano il motore del frigo se non raffreddava più bene, si sostituiva la guarnizione dell’oblò della lavatrice per evitare che il pavimento si allagasse ad ogni centrifuga, le scarpe venivano risuolate, ai maglioni e alle giacche da uomo venivano aggiunte toppe copri-gomito per nascondere le parti consunte, le stesse toppe che si applicavano ai pantaloncini dei bambini quando spuntava il solito buchetto all’altezza del ginocchio.

   

Ricordate? Il paese intero pullulava di artigiani che erano in grado di riparare e allungare la vita alla maggior parte dei beni di consumo che popolavano, in giusta misura, le nostre vite.

Eppure oggi, neppure i più nostalgici tra noi, tornerebbero a quei tempi perché erano tempi di privazioni , eravamo molto più poveri di adesso. Però erano anche tempi in cui, proprio perché avevamo di meno di quanto abbiamo adesso, sapevamo assegnare il giusto valore alle cose.

Oggi abbiamo almeno dieci volte di più di allora. Quante scarpe, quanti vestiti riempiono il nostro guardaroba? Sicuramente più di quanti ce ne occorrono.

Siamo abituati all’idea che gli elettrodomestici vadano cambiati magari molto tempo prima che abbiano terminato la loro vita produttiva soltanto perché hanno qualche anno, mica perché non possano durare ancora.

Nella società del consumo di massa è la velocità di innovazione del prodotto la costante, non la sua durata. Ma attenzione, innovazione riguarda spesso soltanto l’aspetto del design, non quello della funzionalità.

Quello che conta è possedere il nuovo modello, l’ultimo immesso sul mercato.

La pubblicità dei prodotti di marketing che spesso governa il mercato creando bisogni lì dove non ci sono, si è adeguata. Compriamo quel prodotto anziché quell’altro perché è un must have, come dicono gli americani, cioè una cosa che non si può non avere. Non importa se il modello precedente va benissimo , occorre cambiarlo per non sentirsi un passo indietro agli altri.

Alcune aziende avrebbero trovato la “quadra del cerchio” diciamo, e fanno morire prima i propri prodotti anche se potrebbero vivere di più, per spingere gli acquirenti a sostitiuirli naturalmente. E’ arrivato il nuovo modello, buttate quello vecchio tanto tra poco comunque sarebbe morto.

 

 

I nostri bisogni al consumo dei beni voluttuari, non sono bisogni reali ma bisogni indotti dalla pubblicità martellante quotidiana.

Il modello di smartphone che abbiamo è più che sufficiente per assolvere alle funzioni che abbiamo acquistato, pagandole care fra l’altro.  Che bisogno c’è di cambiarlo? Il bisogno appunto indotto che se non possiamo sfoggiare l’ultimo modello non facciamo parte della comunità di eletti che si riconoscono attraverso un marchio, un brand .

Pirandello aveva ragione quando diceva che la vera ricchezza, la vera felicità consiste nell’avere pochi bisogni.

Ma allora si era in tempi analogici, mica digitali.

 

Francesca

9 Commenti a “QUANDO SI RIPARAVA (e non si buttava)”

  1. francesca (franci) ha detto:

    E’ la società del consumo, quella in cui viviamo. Ma è anche la società dello spreco, da me considerato come una sorta di follia e demenza. Fortunatamente non è per tutti così. C’è chi ancora, come me e tanti altri, rammenda le calze, mette le toppe ai pantaloncini dei nipotini quando fanno i buchetti al ginocchio, conserva elettrodomestici anche vent’anni e più, non sostituisce il cellulare vecchio con quello di ultimo grido. E non per questo mi sento un’extra-terrestre o soffro di complessi d’inferiorità. Semplicemente non riuscirei a buttare qualcosa che sia ancora funzionante.

  2. carlina ha detto:

    quelli di oggi – scusate è partito il tasto invio prima della fine del commento

  3. carlina ha detto:

    come sempre,in tutte le cose al giorno di oggi è il busness che prevale, il resto è il nulla assoluto, non fa cifre
    mi ricordo i pantaloni che venivano aggiustati nel modo + consono possibile x potere continuare a portarli,ora li compri tutti tagliati e sfrangiati ad un prezzo esorbitante e lo sfoggi in tutta la sua eleganza in certi casi erano meglio i tempi allora in altri

  4. paul candiago ha detto:

    Scienza e tencologia, progresso ed innovazione piu’ l’Umanita’ riesce a progredire su queste strade dell’Ingegno umano ed e’ meglio e’ per tutti. Se usiamo senza buon senso quanto oggi l’ingegno umano inventa,produce e mette a disposizione del consumatore la responsabilita’ e’solo nostra. La lavatrice la si recicla e se ne compera un’altra con 5/10 anni di garanzia o servizio. Dopo 5 o dieci anni di servizio cosa c’e’ da riparare che sia economicamente giustificabile? Cordiali saluti, Paul
    P.S.:Un orologio di plastica da polso 10 euro made in China, dieci anni di servizio due batterie e si muove ancora:grazie ingegno umano.

  5. gianna ha detto:

    Francesca, ancora un bel post, insomma chi puo’ mangiare mangia e gli altri guardano. E’ vero una volta erano molto attenti a spese superflue,tiravano sempre avanti altri tempi e meno possibilita’, di spendere inutimente per loro mancavano le possibilita’,se dovevano cambiare un elettrodomestico doveva essere eterno, se durava per tutta la vita era un bene per la famiglia,se la lavatrice non centrifugava pazienza le donne strizzavano i panni a mano.se un mobile era ormai zoppo sotto mettevano un bel cartone ,e tiravano avanti,insomma sempre i privileggiati erano gli stessi i ricchi, era difficile chiamare un tecnico, perche’ anche lui voleva i soldi.Le scarpe veniva suolate dal calzolaio, se cerano dei chiadini che bucavano i piedi un colpo di martello è la scarpa era nuova,I poveri hanno fatto la moda delle toppe, ovunque toppe giacche, maglioni, e pantaloni, specialmente quelli dei bambini quella è stata una moda lanciata dai poveri. ma ora gli portano anche i ricchi certo è moda. ora anche noi tutti seguiamo i ricchi mai alla stessa portata per seguire la moda. Io dico che ora anche noi buttiamo via cose non rotte ma per seguire i signori,non riusciremo mai seguire certe persone magari con famiglie numerose.erano periodi durissimi.Cera chi diceva che la vera ricchezza, era la vera felicita’ erano tempi non digitali come oggi. Aveva ragione Pirandello.Un saluto e grazie

  6. alba morsilli ha detto:

    E’ un argomento per il quale, sia il mese di marzo che di aprile ci ho dato di naso.
    Sembrava che qualcuno mi avesse mandato qualche benedizione, i pensili della cucina dopo 20anni, mi sono accorta, che si stavano staccando, così un grande specchio in bagno, il folletto che non funziana più, il pc che non si accende.
    Ero veramente incavolata e non sapevo come fare, Ho fatto riparare tutto perchè comprare e buttare bisogna avere anche i soldi, poi onestamwente io sono di quella generazione che ancora rammendavo le calze, una famiglia non va avanti se per prima la donna non sa fare economia,
    Ai tempi insegnavano economia domestica, ora non sanno neppure cosa sia, io dico sempre una donna disfa la casa e una donna crea la casa, il consumismo fa parte di quelle persone che non danno valore al denaro poi magari si lamentano che non arrivano a fine mese.

  7. alfred-sandro2.ge ha detto:

    si chiama:
    OBSOLESCENZA PROGAMMATA
    vedi Parliamone del 12\5\2013

  8. franco ha detto:

    …”è il consumismo bellezza” parafrasando la frase di Homprhey Bogart. Mi dicono che le aziende oltre che a rendere obsolete le loro produzioni con cadenza mensile , costruiscono con l’intento che la “roba” duri poco. Non conviene più riparare ,perchè il costo della riparazione spesso supera il valore dell’oggetto….ergo un mondo di spreco , di montagne e montagne di rottami e pattume.
    Io sono antico come Lorenzo e forse non faccio testo.

  9. lorenzo12.rm ha detto:

    Io sono rimasto a quelli che Franci definisce “tempi analogici” e, nei limiti del possibile, ci rimango. Quando la novità si accoppia all’imposizione o, peggio, alla fregatura, non ci sto, almeno fino a quando posso. E rimpiango, rimpiango. Grazie Franci.

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