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Ecco  un altro aneddoto scritto dal papà  di Tittati : è un racconto molto lungo, ma nel contempo molto bello e pieno di sviluppi. In vari momenti la storia sembra che stia per finire, ma....all'improvviso si ripresentano nuovi colpi di scena e....  ricomincia. Gli eventi di questo aneddoto, un vero spaccato di vita,  sono realmente accaduti e ne sono testimonianza alcuni parenti dei protagonisti che vivono ancora nel  paese di Tittati, come da lei stesso riferito. Chi l'ha letto, ha commentato che potrebbe essere utilizzato come soggetto per un film, comunque leggendolo, ve ne renderete conto anche voi. Io l'ho letto d'un fiato, perchè mi ha appassionato molto, ma mi rendo conto che forse leggerlo attraverso il computer risulta più difficoltoso, per cui, d'accordo con la stessa Tittati, abbiamo deciso di presentarvelo in due parti creandovi così una sorta di .....attesa e  di curiosità.

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 “A zia Livia , moglie e madre esemplare,

instancabile lavoratrice che, con tanti

sacrifici, tutti portati a buon fine, ha

dedicato la sua vita alla famiglia .

Così la ricordiamo.

Nicola e Gisa

 1^ P ARTE

Nuvole nere si addensavano nei cieli dell’Europa, dell’Asia,dell’America.Il cataclisma che stava per abbattersi sull’Europa, interessava l’impero Austro–Ungarico, la Russia, la Francia, la Gran Bretagna, i Paesi Balcanici, l’Italia ed altre nazioni del nostro continente. La scintilla cheattentato-allarciduca-francesco-ferdinando provocò lo scoppio della “Prima Guerra Mondiale, scoccò il 28 giugno del 1914 con l’attentato di Sarajevo in cui rimasero uccisi il principe Francesco Ferdinando, erede dell’impero Austro-Ungarico e sua moglie Sofia, attentato che fu rivendicato da terroristi serbi.

Per questi avvenimenti, dopo un mese dall’attentato, il 27 luglio del  1914, l’impero Austro - Ungarico dichiarava guerra alla Serbia. Il conflitto coinvolse la Russia che appoggiava la  Serbia; il 30 luglio, due giorni dopo, la Germania  dichiarava guerra alla Russia, alla Francia e al Belgio. Poi intervenne anche la Gran Bretagna che si schierò con la Francia e la guerra infiammò tutta l’Europa. L’Italia intantoitalia-entra-in-guerra dichiarava la sua neutralità che, però, durò poco perché, il  famoso 24 maggio del 1915, si buttò nella mischia della  triplice alleanza a fianco della Francia e della Gran Bretagna, tradendo l’impero Austro-Ungarico e la Germania, con lo scopo di conquistare le terre irredenti di Trento e Trieste, terre che mancavano per completare il Regno d’Italia. I nostri soldati si coprirono di gloria e di eroismo, difendendo una linea di fronte che andava dalle Alpi all’Adriatico. Si coprirono di gloria e di eroismo con la conquista di punti strategici come: il monte Grappa, l’Adamello, il monte San Michele, il monte Sabotino,  Bainsizza, il Carso, san Gabriele, i fiumi Isonzo, Piave, Tagliamento, Caporetto, san Martino e tante altre località difese, carmistizio-4-11-1918onquistate, perse e riconquistate, fino alla disastrosa ritirata del Piave.

Il Piave glorioso, che fermò  l’avanzata dell’esercito Austro-Ungarico e che spianò la strada alla controffensiva dei soldati italiani che ricacciarono i nemici oltre Bassano, inchiodandoli al di là dei confini naturali dell’Italia, costringendoli a chiedere 4-novembrela resa e l’armistizio il 4 novembre 1918 e che mise fine alle ostilità.
Torniamo al 24 maggio del 1915 quando, dichiarata la guerra, l’Italia iniziò le ostilità, e per far fronte al nemico, dovette organizzare un esercito.
21 classi furono reclutate e poste a disposizione del generale Cadorna, giovani uomini e padri di famiglia  vestirono la divisa militare per difendere la Patria con onore fedeltà e eroismo, che costò la vita a circa cinquecentomila soldati, per non parlare di centinaia di invalidi e dispersi.
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Ora, cerchiamo di ricostruire i fatti raccontati da Marietta, figlia di Annunziata,   sorella del militare di cui iniziamo a raccontare la storia; alcune situazioni descritte sono un po’ romanzate, ma si cercherà di rimanere, quanto più possibile, fedeli alla realtà dei fatti.
A Carpione in quel fatidico anno 1915 c’era una famiglia, una famiglia come tante altre, dedita al lavoro dei campi, una giovane famiglia lavoratrice e di sani principi composta da Michele, sua moglie Lauretana,  la figlia Marietta e z’Maria, madre di Michele. Anche in questa famiglia arrivò la cartolina-precetto, la chiamata alle armi per il giovane padre.
Michele, come tanti uomini, partì per la guerra, lasciando a casa tre donne indifese: la mamma anziana, la giovane moglie e una bambina piccola. Tutto questo avveniva per Michele quando la guerra era in piena esplosione fra l’esercito italiano e quello austro ungarico; al fronte, nel Veneto e nel Trentino, i due eserciti si contendevano il terreno palmo a palmo con gravissime perdite dall’una e dall’altra parte.
Ricordiamo una delle più cruente di queste battaglie che fu quella detta episodio_di_guerra“dell’Isonzo”(18-10/2-12 -1915), guerra di trincea, nella quale, morirono tanti giovani soldati perché spesso gli scontri avvenivano all’arma bianca , uomo contro uomo, per cui uno dei due doveva soccombere.
Al suo arrivo al fronte, il nostro soldato fu aggregato al 246° fanteria e dopo pochi giorni, anche lui fu mandato in prima linea.
I combattimenti non avevano tregua, si manifestavano all’improvviso, i soldati uscivano trincea3dalle trincee e, al grido di “Savoia” andavano all’assalto alla baionetta, sotto il fuoco incrociato di bombe a mano, bordate di cannonate, colpi di obici, mitragliatrici e gas asfissianti, tanto che ogni soldato era munito di maschera antigas, da indossare all’occorrenza.
La vita dei soldati in prima linea, era appesa ad un filo. In qualsiasi momento si poteva immolare la vita per la patria. Anche per il nostro fante ci fu il battesimo del fuoco a cui seguirono, come per tanti altri suoi commilitoni, giorni e notti di combattimento sotto i tiri della mitraglia dei cecchini, cercando di avanzare, pancia a terra, fino agli sbarramenti dei fili spinati, per aprire dei varchi, usando cesoie taglia- fili di ferro, poi tornare nella propria trincea e preparare l’assalto alla conquista della trincea nemica.
In questo clima, l’uomo diventa irriconoscibile nei sentimenti, perché la guerra lo abbrutisce, diventa una bestia feroce, perde la ragione e non gli importa più di vivere o di morire.
In questo clima, dicevamo, si arrivò ai primi mesi del 1918; il plotone al quale apparteneva il nostro fante aveva usufruito di alcuni giorni di riposo che veniva concesso agli uomini di prima linea dopo i vari combattimenti. La sera furono convocati dal loro capitano, l’ordine impartito per il mattino seguente, era quello di rifornire di materiale logistico, che consisteva in munizioni e derrate alimentari, una compagnia su una montagna conquistata 2 giorni prima in un violento e cruento scontro con l’assalto alla baionetta e con la vittoria dei nostri soldati. La montagna non disponeva di strade carrabili, ma soltanto di erti sentieri; il plotone di Michele doveva provvedere al rifornimento con il trasporto a spalla. Quella notte, il nostro fante, fu colto da febbre alta,  ma al mattino, nonostante la febbre, si presentò con tutti gli altri per portare a termine l’ordine ricevuto. Informò il suo capitano della sua indisposizione: non stava bene, aveva la febbre … Il capitano minimizzò la cosa, anzi,  ordinò al soldato di prendere il suo carico e di partire con tutti gli altri, gli ordini non si discutono. Caricato di zaini pieni di munizioni, dal peso insostenibile, il nostro Michele partì con i suoi commilitoni.
Iniziò il percorso attraverso il tortuoso sentiero che si inerpicava sulla montagna e presto cominciò l’ascesa. Michele si sentiva sfinito, gli tremavano le gambe, la testa gli girava, la febbre lo attanagliava, si sentiva molto male, ma, confidando nella  forza della sua giovane età cercò, anche se a stento, di tenere il passo dei suoi compagni. Purtroppo ,dopo circa un’ora, cominciò a rimanere indietro, non riusciva più a seguire gli altri e, infine, si accasciò a terra; il capitano, accortosi che il militare si era fermato, tornò sui suoi passi, trovò Michele a terra con vicino altri commilitoni che cercavano di dargli almeno un aiuto morale e ordinò loro di proseguire la marcia. Il nostro Michele implorò il comandante dicendogli che gli era impossibile proseguire, ma egli ancora una volta, non gli credette, anzi, preso dall’ira, cominciò a colpire il suo soldato con il calcio del fucile, lo prese a frustate e a calci, tutto sotto gli occhi allibiti degli altri soldati presenti alla scena.
Michele, non potendone più, si tolse il carico di dosso e pare che abbia detto al capitano: “Io da qui non mi muovo,  e, ora che mi hai percosso, sulla montagna ci vai solo tu”. Tali parole comportavano insubordinazione militare con l’aggravante del rifiuto a un superiore, per cui sicuramente sarebbe stato processato per direttissima e nessuno gli avrebbe tolto 20 anni di galera.
In quei momenti e nella posizione che si era venuta a creare, Michele non ci pensò due volte e decise per la diserzione, pur sapendo che la condanna per diserzione comportava la fucilazione. Mille pensieri si affollavano nella sua mente, cosa fare? L’unica soluzione sarebbe stata quella di tentare di raggiungere il Molise, Carpinone, dove aveva lasciato i suoi familiari più cari.
Non ci pensò più di tanto, lasciò il suo carico sul posto e da quel momento pensò solo a nascondersi e, con calma, cercando di non destare sospetti in chi avrebbe potuto denunciarlo, sparì dalla zona; sicuramente si disfece della divisa, (Dio solo sa cosa escogitò per vestire panni borghesi) e da quel momento sparì. Nessuno seppe più nulla di lui. I familiari, a casa, non ricevettero più nessuna notizia nessun rigo di lettera. Il presidio militare al quale Michele apparteneva, mise in moto la macchina della ricerca che, però, non ebbe alcun esito in nessun luogo. La ricerca si estese in tutto il territorio italiano e, quindi, anche a Carpinone, dove i suoi familiari cominciarono a ricevere visite da parte delle forze dell’ordine in qualunque ora del giorno e della notte. Alle domande pressanti dei carabinieri, la moglie e la madre di Michele non sapevano dare una risposta: per loro, il loro congiunto era al fronte e, per di più, non ricevevano sue notizie da molto tempo, anzi, sicuramente avrebbero preferito che fosse stato disertore, ma vivo, piuttosto che morto in combattimento.
Intanto, Michele, dopo l’incidente in montagna , aveva girovagato per un po’ senza meta, dormendo di notte e rimanendo nascosto di giorno. Per i tre mesi successivi, non vi sono notizie certe sulle vicissitudini del povero disertore; sicuramente ci saranno state giornate di fame, di stenti, di sconforto che nessuno può descrivere con esattezza e dovizia di particolari, se non con la fantasia di chi narra che sicuramente esula dalla realtà, in quanto la vaga narrazione di cui siamo in possesso ci è giunta dalla nipote Marietta , figlia di Annunziata , sorella di Michele e madre della pronipote Gisa (mia moglie). Ci raccontava che suo zio, come abbiamo già detto, si spostava solo di notte e di giorno si nascondeva nella boscaglia, per procurarsi del cibo, probabilmente, si avvicinava a qualche casolare isolato, cercando di non destare sospetti sulla sua situazione di uomo braccato. Il problema maggiore, però, era quello dell’orientamento, in quanto, lo scopo di raggiungere la sua casa, dal posto in cui si trovava, era un’impresa a dir poco difficile per un giovane inesperto come Michele; eppure nell’arco di quei tre terribili mesi, il nostro disertore, con fatica, con stenti, ma anche con tanta fortuna, riuscì a raggiungere il “Cicevere”, la punta più alta della montagna che sovrasta Carpinone. Era giunto a casa! Chissà quale intuito, quale mano, lo aveva guidato a compiere quella immane fatica! Per lui era stato come trovare un ago nel pagliaio. Chi poteva averlo aiutato se non la mano di Dio che premia le persone timorate, le persone miti, le persone buone. Fatto sta che il disertore aveva raggiunto il suo scopo, ma solo a metà, poiché, è vero che stava a casa, ma il dover restare nascosto, era un grosso problema !
Siamo ai primi di aprile del 1918 e, in questo periodo primaverile, urgono molti lavori nei campi; un giorno, la mamma Z’Maria e la moglie Lauretana, decidono di recarsi in contrada “La Pila” (terreni coltivabili ai piedi della montagna di Carpinone) per effettuare la sarchiatura di un campo coltivato a grano. Era una giornata soleggiata, calda e limpida, dal tepore primaverile e presto, le due donne si misero al lavoro; nessuna delle due parlava, erano intente ad estirpare l’erba cattiva, ma il loro pensiero era rivolto al loro congiunto di cui, ormai da tre mesi non si sapeva più nulla, se fosse morto o fosse stato fatto prigioniero, sicuramente lo avrebbero saputo, ma allora, dov’era Michele?
Intanto, mentre fantasticavano in questi pensieri, era arrivato mezzogiorno, l’ora di mangiare qualcosa. Si sedettero all’ombra di una quercia per consumare la colazione che avevano portato da casa e poi godere un po’ di meritato riposo, quando, all’improvviso, davanti a loro si presentò un uomo in condizioni pessime, magrissimo, smunto, molto trasandato, ma vivo e vegeto, quando lo riconobbero, la sorpresa fu enorme, non credevano ai loro occhi: sì, davanti a loro c’era quel figlio, quel marito, che avevano creduto morto per sempre; il miracolo si era compiuto…ci furono abbracci, baci e pianti di gioia, come avviene in circostanze del genere.
Ora che la famiglia si era riunita, anche se in modo così rocambolesco, si presentò un grosso problema, quello di tenere nascosto il ricercato; bisognava subito decidersi sul da farsi, pena la cattura da parte delle forze dell’ordine, il processo e la sicura condanna alla fucilazione. Le due donne decisero subito che bisognava tenere nascosta a tutti la presenza di Michele; amici e parenti, anche i più stretti, non dovevano sapere nulla perchè una sola parola, anche un solo sguardo avrebbero potuto tradirlo. La prima decisione fu quella di tenerlo nascosto, per qualche giorno nel bosco confinante con i loro terreni, dove i loro genitori avevano costruito con muretti a secco dei piccoli rifugi che potevano ospitare tre o quattro persone. Abbastanza nascosti nella boscaglia, questi ricoveri, ancora oggi esistenti, potrebbero somigliare a piccoli nuraghi, come quelli esistenti in Sardegna, e per accedervi, si doveva andare carponi, tanto era angusta l’entrata.
Michele, quindi, fu subito trasferito in uno di questi ricoveri, per evitare che altri contadini che lavoravano nei campi vicini potessero vederlo. In questo posto Michele rimase tre o quattro giorni, il tempo per i suoi familiari di poter organizzare il ritorno a casa, a Carpinone.
Le due donne, pur difendendo ad ogni costo il loro segreto, decisero di rivelarlo ad una sola persona, ad Annunziata, sorella maggiore di Michele, perché ritenevano che fosse molto riservata, di una serietà irreprensibile: di lei potevano fidarsi ciecamente e, all’occorrenza, avrebbe potuto dare loro una mano, e che mano! Visto che Annunziata ebbe un ruolo molto importante in una fase molto critica della vicenda, come appresso diremo.
Ora vediamo chi era  Annunziata: Nunziata,  sorella maggiore di Michele, era una donna molto energica, si era sposata giovanissima con Giacinto che, emigrato negli Stati Uniti, l’aveva lasciata con tre figli: Marietta di quattordici anni, Roberto di dieci e Giuseppina di quattro.
Abbiamo lasciato Michele nascosto nei boschi della contrada Pila, qui rimase solo due o tre giorni, poi i familiari decisero di trasferirlo a casa a Carpinone; in quei due o tre giorni, le donne, come nulla fosse, tornarono a lavorare nelle campagne della Pila e, il terzo giorno, a sera inoltrata, Michele fu travestito da donna, con indosso il classico costume di Carpinone, gli fu posto sulla testa un grosso fascio d’erba che gli copriva abbastanza il viso per non farlo riconoscere da qualche persona che avrebbe potuto incontrare lungo la strada, oltre tutto, il cielo pieno di nuvole rendeva la sera ancora più buia , tutto si svolse nel migliore dei modi e Michele finalmente  tornò nel tepore degli affetti familiari.
La chiesa dell’Immacolata Concezione, una chiesetta piccola, è ubicata all’inizio dell’abitato del paese e trovasi sulla destra di chi viene da Sessano del Molise e Castelpetroso, da quella chiesa inizia “la Chianella”, ora corso Aquilonia, che porta alla piazza mercato. La strada è leggermente in salita e dopo averla imboccata, dopo circa cento metri, sulla sinistra, s’imbocca un vicolo, ”ru viche Favugne”, ora “Vico 1° San Rocco” che procede verso altre abitazioni per passare poi sopra la galleria della strada ferrata che va verso Isernia; ora chi imbocca il Vico 1° San Rocco e vuole recarsi alla casa di Michele, dopo circa trenta metri, deve voltare a destra e poi ancora a sinistra, qui il vicolo diventa senza uscita; è lì che si trovava l’abitazione di Michele, una casa modesta, una casa di contadini, senza tante pretese. Successivamente l’abitazione, abitata da altre persone, ha subito delle modifiche, ma io la ricordo benissimo come era prima, perché frequentavo il fratello di Michele, Addolorato Palladino, detto Z ‘ Addolorato, che con la sua famiglia la occupò dopo gli eventi di questa storia.
Cerchiamo di descrivere l’abitazione, teatro di fatti incredibili in essa accaduti: al piano terra si apriva una porta che dava in un locale adibito a stalla, ricovero dell’asino e di almeno un paio di capre da latte; in un altro recinto, sempre nello stesso locale, c’era il maiale, altro elemento fondamentale nella vita dei contadini, che, col suo immancabile sacrificio, forniva carne e lardo per buona parte dell’anno. A destra dell’entrata c’era un camino in disuso che ha avuto un ruolo importante, anzi determinante, nella storia e cercheremo di descrivere in maniera particolareggiata, quali sono state le sue reali funzioni nella storia.
Il camino, da molto tempo non più funzionante, aveva ancora all’interno della canna fumaria, l’indispensabile sbarra di ferro, murata più o meno all’altezza della parte alta del focolare, alla quale veniva agganciata la catena formata da un’altra breve barra di ferro che terminava con quattro o cinque anelli che servivano ad appendere il caldaio all’altezza desiderata. Ora usciamo dalla stalla e cerchiamo di descrivere l’abitazione: per accedere al primo piano si dovevano superare tre o quattro gradini, anch’essi semi diroccati, per giungere ad un ballatoio esterno situato davanti alla porta d’entrata che immetteva in una stanza adibita a cucina; questo vano era, più o meno, così mobiliato, per capire quello che in questa misera e squallida stanza succedeva: entrando, nella parete dirimpetto, sulla sinistra c’era una porta che immetteva nella camera da letto e alla sinistra di questa porta, una credenza. Sulla parete di destra, appeso al centro, ”ru scut’ellar’e”, un mobile rustico con tre o quattro ripiani dove veniva poggiata una sorta di vasellame fatta di piatti di varia grandezza, tazze e tegami in rame, ciotole e utensili utili in cucina. Sotto il porta scodelle, una madia abbastanza grande che serviva per impastare il pane e, una volta cotto, per conservarlo durante i giorni in cui veniva consumato . Di fronte alla madia, sulla parete opposta, c’era il camino, un po’ più a sinistra, sotto la finestra, c’era il lavabo consistente in una “tina” piena d’acqua e di un catino in ferro smaltato bianco poggiato sul caratteristico trespolo di ferro.
Dalla  cucina si accedeva alla camera da letto dove c’era un comò, il letto matrimoniale e alcuni abiti (da indossare nelle festività ) appesi al muro. In questi soli tre vani, come per incanto, avvenne l’impossibile…la sparizione di  Michele, ricercato dalle forze dell’ordine che in qualsiasi ora del giorno e della notte, piombavano in casa, rovistavano dappertutto cercando Michele senza mai riuscire a catturarlo. Ecco cosa avevano escogitato i tre protagonisti della storia per nascondere Michele: avevano praticato un buco nella parete dietro la madia, grande abbastanza per permettere il passaggio di una persona e l’apertura immetteva nella canna fumaria del camino sottostante, quello della stalla.
Ecco cosa avveniva quando i carabinieri picchiavano alla porta per farsi aprire in nome della legge: Michele, qualsiasi cosa stesse facendo, spostava la madia quel tanto necessario, s’infilava nel buco, la madia veniva riappoggiata al muro dalla moglie a copertura del buco e lui, Michele, poggiandosi con i piedi sulla sbarra di ferro del camino di sotto, rimaneva ritto all’interno della canna fumaria fino al cessato allarme. I carabinieri trovavano solo la moglie e, dopo aver rovistato tutta la casa, sottoposta a reiterati e incessanti interrogatori, la povera donna che non si è mai tradita, rispondeva a tono; per esempio, quando le visite avvenivano di notte e i carabinieri trovavano il letto matrimoniale disfatto e ancora caldo, alla domanda: ”Chi ha dormito in questo letto fino a pochi istanti fa ?” “Nessuno!” Era la risposta. ”Ma come nessuno, qui ha dormito tuo marito!” “Io mio marito non lo vedo da quando è partito per la guerra, di lui non ho avuto più notizie  da circa un anno.” E loro incalzavano: “Ma il letto è caldo!” La risposta era questa: “Mamma mi ha fatto un letto grande ed io dormo dall’una e dall’altra parte!” L’insistenza era asfissiante, per la povera donna, ma le risposte erano sempre le stesse: ”Mio marito qui non c’è, questa è la casa, ci sono solo una porta e una finestra dalla quale è impossibile scappare perché spesso presidiata da voi, quindi, se pensate che stia qui, cercatelo!” I carabinieri, purtroppo dovevano accettare la realtà, anche se avvertivano la presenza del ricercato in qualche luogo della casa. Passò qualche mese e succsse una cosa imponderabile, una cosa sicuramente inattesa, una cosa che col passare dei giorni, non poteva essere più nascosta....... 

Il resto di questa bellissima storia ....alla prossima puntata. 

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5 Commenti a ““STORIA DI UN DISERTORE” – Parte 1^ – Aneddoto scritto dal papà di Tittati e proposto da lei stessa (pubblicato da Rosaria3.na)”

  1. Giulio Salvatori ha detto:

    Grazie Tittati, sono pagine indelebili della nostra storia che emozionano anche un -Maledetto toscano-Mi sono tuffato con avidità nel racconto , nel film tragico di UN UOMO.Grazie ancora e…attendo il seguito.

  2. Giovanna3.rm ha detto:

    Cara Tittati, grazie a tuo padre abbiamo ripercorso la nostra storia recente, amara, dolorosa ma avvincente. Con interesse attendo il seguito.
    Ora vorrei dirti due parole sul nostro amico comune:Lorenzo.rm. Mi ha pregato di farti sapere che gli si è guastato il pc: ne avrà per qualche giorno, se non lo vedi non ti preoccupare.
    Un abbraccio

  3. luciano3.RM ha detto:

    Tittati. Storia affascinante e coinvolgente, aspetto il seguito. Un saluto.

  4. tittati ha detto:

    Grazie Aldo, la seconda parte sarà pubblicata a breve, comunque quando lo deciderà Rosaria. Sono contenta che ti piaccia e grazie ancora x i complimenti.

  5. aldo.roma ha detto:

    Tittati, quando la prossima puntata? complimenti è davvero avvincente!

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