Forse questa lettura invita a leggere o rileggere il libro stesso, libro, che io metterò sempre al primo posto tra tutti quelli che ho letto.
Chi era Socrate?
Socrate (470/469-399 a.C.) è forse il personaggio più enigmatico di tutta la storia della filosofia. Sebbene non scrisse nemmeno una riga, fu uno dei filosofi che maggiormente influenzarono il pensiero occidentale. Ed è anche noto a persone che non si occupano di filosofia, forse per la sua tragica morte.
Sappiamo che nacque ad Atene e che trascorse la maggior parte della sua vita nelle strade e nelle piazze conversando con la gente che incontrava: ''La campagna e gli alberi non possono insegnarmi alcunchè, mentre imparo dagli uomini in città'', diceva. Spesso, quando era profondamente immerso nelle proprie riflessioni, rimaneva in piedi per parecchie ore di fila.
Già durante la sua vita ebbe fama di personaggio misterioso e, quando morì, fu definito il padre di varie correnti filosofiche. Proprio perchè era così enigmatico e ambiguo, pensatori tra loro diversi poterono richiamarsi al suo insegnamento.
E' certo che fosse bruttissimo: era piccolo e grasso, con gli occhi sporgenti e il naso camuso. Ma, interiormente era un uomo meraviglioso, si diceva. E il celebre uomo politico Alcibiade sosteneva: ''Un uomo come questo qui, con le singolarità sue e dei sui discorsi, non ha chi gli somigli neppur di lontano, a cercarlo fra gli uomini di oggi né fra quelli di ieri''. Tuttavia fu condannato a morte per la sua attività di filosofo.
La vita di Socrate ci è nota soprattutto grazie a Platone, che fu suo allievo e divenne a sua volta uno dei più grandi filosofi della storia. Platone scrisse molti ''dialoghi'', o conversazioni filosofiche, nei quali si serviva di Socrate come suo portavoce.
Quando Plutone fa pronunciare certe affermazioni a Socrate, non possiamo essere sicuri che quest'ultimo le abbia effettivamente dette. E' quindi assai difficile distinguere l'insegnamento di Socrate da quello di Platone. Lo stesso problema vale anche per altri personaggi storici che non ci hanno lasciato fonti scritte. L'esempio più famoso è quello di Gesù: non possiamo essere certi che le parole del ''Gesù storico'' corrispondessero in tutto e per tutto a quelle riportate dai quattro evangelisti. In modo analogo, ciò che il ''Socrate storico'' disse rimarrà per noi un mistero.
Non è comunque così importante sapere chi fu realmente Socrate, perchè è stata soprattutto l'immagine che Platone ci ha dato di lui che ha ispirato i pensatori occidentali per quasi duemilacinquecento anni.
L'arte del dialogo
Bisogna anzitutto dire che Socrate non si dava affatto l'aria di voler istruire gli altri: al contrario dava l'impressione di voler lui stesso imparare da quelli con cui parlava. Non si occupò quindi dell'insegnamento come un qualsiasi altro maestro. Lui dialogava.
Ovviamente non sarebbe diventato un filosofo famoso se si fosse limitato ad ascoltare gli altri, né sarebbe stato condannato a morte. Nell'affrontare un problema lui, soprattutto all'inizio, faceva solo domande, fingendo così di non sapere nulla. Durante il dialogo, però, spingeva l'altro a rendersi conto dei punti deboli del proprio modo di pensare. Alla fine il suo interlocutore, stretto alle corde, era obbligato a riconoscere ciò che era giusto e ciò che era sbagliato.
Si dice che Fenarete, la madre di Socrate, fosse una levatrice, e Socrate paragonò la sua attività all''arte dell'ostetricia''. Non è la levatrice che partorisce il bambino: lei è solo presente e aiuta la madre. Analogamente Socrate capì che il suo compito era quello di aiutare gli esseri umani a '' partorire'' il giusto sapere. E, dato che la vera conoscenza viene da dentro, lui si assumeva l'incarico di portare alla luce le conoscenze che si formavano all'interno della mente dei suoi interlocutori.
Voglio precisare una cosa: la capacità di mettere al mondo un bambino è una qualità naturale. Analogamente tutti gli esseri umani sono in grado di riconoscere le verità filosofiche semplicemente usando la ragione. Quando un uomo ''fa ricorso alla ragione'', prende qualcosa da se stesso.
Recitando la parte di colui che non sa niente, Socrate obbligava le persone che incontrava a usare la ragione: poteva quindi ''simulare'' di essere ignorante, o far finta di essere più stupido di quanto non fosse (la famosa ''ironia socratica''). In tal modo Socrate riusciva sempre mettere in evidenza i punti deboli nel modo di pensare degli ateniesi. Tieni conto, poi, che questo poteva succedere in mezzo a una piazza, quindi pubblicamente: chiunque discorresse con Socrate rischiava perciò di fare la figura dello stupido e di diventare lo zimbello della gente. Non è dunque strano che a poco a poco Socrate venisse considerato irritante e molesto, soprattutto da chi deteneva il potere. Al suo processo dichiarò: ''Atene è simile a un grande cavallo di razza, ma proprio per la grandezza un po' pigro e che ha bisogno di venir pungolato da un tafano''. (Che cosa si fa con un tafano, Sofia? Me lo sai dire?)
Una voce divina
Non era per tormentare il suo prossimo che Socrate continuava a morderlo al polpaccio. C'era qualcosa dentro di lui che, in un certo senso, non gli permetteva di agire diversamente. Ripeteva spesso che aveva in sé una ''voce'', uno ''spirito divino e demoniaco''. Socrate si rifiutò, per esempio, di avere a che fare con la condanna a morte di un uomo e di denunciare gli oppositori politici. Alla fine tutto questo gli costò la vita.
Nell'anno 399 avanti Cristo fu accusato di ''introdurre nuovi dei'' e di ''portare i giovani alla perdizione'' e quindi processato. Venne giudicato colpevole da una giuria composta di cinquecento membri, dei quali solo centoquaranta votarono contro di lui. Una maggioranza esigua, ma sufficiente.
Avrebbe sicuramente potuto invocare la grazia o, perlomeno, se avesse accettato di lasciare Atene, si sarebbe salvato. Tuttavia se lo avesse fatto, non sarebbe stato Socrate. Il punto era che lui poneva la sua coscienza e la verità più in alto della sua stessa vita: sostenne fino all'ultimo di avere agito esclusivamente per il bene dello Stato. E invece venne condannato a morte. Così, in presenza dei suoi amici più cari, bevve un calice di cicuta e morì.
Perchè, Sofia? Perchè Socrate dovette morire? Gli uomini se lo sono chiesto per più di duemila anni. Socrate non fu l'unico nel corso della storia a lottare strenuamente e a morire in nome delle proprie convinzioni. Ho accennato prima a Gesù, e di fatto ci sono molte affinità tra Gesù e Socrate. Vorrei evidenziarne alcune.
Sia Gesù sia Socrate vennero considerati personaggi enigmatici dai loro contemporanei. Nessuno dei due mise per iscritto il proprio messaggio: la conoscenza che noi abbiamo di queste due figure si basa esclusivamente sull'immagine che ci è stata data dai loro seguaci e allievi. E' sicuro comunque che entrambi furono maestri nell'arte del parlare e che dai loro discorsi si poteva evincere una precisa consapevolezza, una lucidità che poteva affascinare, ma anche irritare. Entrambi ritenevano di parlare in nome di qualcosa più grande di loro e sfidavano i detentori del potere, criticando ingiustizie e abusi. E infine questo modo di agire costò loro la vita.
Anche i processi contro Gesù e contro Socrate hanno tratti comuni. Entrambi avrebbero potuto evocare la grazia, e quasi certamente si sarebbero salvati. Eppure sentivano di non poter venire meno alla missione che avevano intrapreso, anche a costo di pagare con la vita. Così, proprio perchè affrontarono la morte a testa alta, raccolsero stuoli di seguaci anche dopo la loro morte.
Non ho fatto questo parallelo tra Gesù e Socrate perchè intendo affermare che furono uguali. Ho voluto sottolineare il fatto che tutti e due avevano un messaggio per il mondo, e che tale messaggio non può essere distinto dal loro coraggio personale.
Un jolly ad Atene
Socrate, Sofia! Non abbiamo ancora finito di occuparci di lui, sai. Abbiamo accennato al suo metodo. Ma qual'era il suo progetto filosofico?
Socrate fu contemporaneo dei sofisti. Come loro era più interessato all'uomo e alla vita dell'essere umano che hai problemi della filosofia della natura. Alcuni secoli dopo, Cicerone, un celebre uomo politico e letterato latino, affermò che ''Socrate fu il primo che fece scendere la filosofia dal cielo, la trasferì nelle città e la introdusse anche nelle case e la rivolse a interessarsi della vita e dei costumi, del bene e del male''.
Tuttavia, Socrate, sotto molti aspetti, era assai lontano dai sofisti. Anzitutto non si considerava un sofista (cioè un dotto) e poi non accettava ricompense in denaro per il suo insegnamento. No, Socrate si definiva un ''filosofo'' nel vero significato della parola. A questo proposito, è arrivato il momento di spiegarti che il termine ''filosofia'' deriva dalle parole greche phìlos (amico) e sofhìa (sapienza) e significa nel suo insieme ''amore della sapienza'' Socrate si considerava dunque una persona che ama la sapienza.
Mi segui, Sofia? E' di fondamentale importanza che per il resto del corso che tu capisca bene la differenza tra un ''sofista'' e un ''filosofo''. I sofisti venivano pagati per le loro sottigliezze.......e di personaggi simili ne è piena la storia. Mi riferisco a quegli insegnanti e a quei sapientoni che si accontentano del poco che sanno oppure si vantano di sapere cose che non conoscono affatto. Tu sei giovane, ma sicuramente avrai avuto già modo di incontrarli alcuni di questi ''sofisti''. Un vero filosofo, Sofia, è assai diverso, anzi è proprio il contrario di un sofista. Un filosofo è consapevole del fatto del sapere molto poco, e per questo cerca continuamente di raggiungere il vero sapere. Socrate era una di queste rare persone. Era consapevole del fatto di non conoscere niente della vita e del mondo. E adesso arrivo al punto: secondo lui era doloroso sapere così poco.
Un filosofo, dunque,è una persona che riconosce di non capire molte cose. E questa ''ignoranza'' lo tormenta. Sotto questo aspetto, un filosofo è comunque più intelligente di coloro che si vantano di sapere cose che non conoscono affatto. ''La persona saggia è quella che sa di non sapere'', ti ho scritto. Socrate affermava di sapere con certezza solo una cosa: sapeva di non sapere niente. Ricordati di queste parole perchè questa è una ammissione molto rara anche fra gli stessi filosofi. Esprimere pubblicamente una tale convinzione, poi, rischia di essere alquanto dannoso (a Socrate costò la vita). Sono sempre quelli che fanno domande a essere i più pericolosi. Rispondere non è altrettanto rischioso. Un'unica domanda può essere più esplosiva di mille risposte.
Ti ricordi la favola dei vestiti dell'imperatore? Nessuno dei sudditi osava contraddire il sovrano che affermava di aver indossato un magnifico abito. Fu un bambino a gridare la verità, cioè che l'imperatore era nudo. Fu un bambino coraggioso, quello, Sofia, Analogamente, Socrate osò affermare che noi esseri umani sappiamo pochissimo. Abbiamo già parlato in precedenza delle somiglianze tra bambini e filosofi.
Tengo a precisare una cosa: l'umanità è posta di fronte a domande importanti alle quali trova con grande fatica vere risposte. A questo punto si aprono due possibilità: possiamo ingannare noi stessi e il resto del mondo facendo finta di sapere ciò che vuol sapere. Oppure possiamo chiudere gli occhi di fronte a quelle domande fondamentali, rinunciando una volte per tutte a proseguire. L'umanità si divide così in due. Gli uomini sono per la maggior parte o sicurissimi o indifferenti (entrambi i tipi, brulicano e strisciano nella pelliccia del coniglio!). E' come quando dividiamo un mazzo di carte, Sofia. Mettiamo quelle con il seme nero da un lato e quelle con il seme rosso dall'altro. Eppure, a volte, compare nel mazzo un jolly: non è né di cuori, né di fiori, né di denari, né di picche. Ad Atene, Socrate era un jolly. Non era né ultrasicuro, né indifferente. Sapeva soltanto di non sapere, e ciò lo angustiava. Per questo motivo diventò un filosofo, cioè uno che non rinuncia, uno che cerca instancabilmente di raggiungere un sapere certo.
Nell'Apologia di Socrate Platone racconta che un ateniese si rivolse all'oracolo di Delfi per sapere chi fosse l'uomo più sapiente di Atene. Socrate, fu il responso dell'oracolo. Quando Socrate lo venne a sapere, ne rimase a dir poco sorpreso (credo che si sia messo a ridere, Sofia!). Allora, per smentire l'oracolo, si mise alla ricerca di un uomo più sapiente di lui. Una vana ricerca, al termine della quale Socrate concluse che il dio ''questo volle significare nel suo oracolo, che poco o nulla vale la sapienza dell'uomo; e dicendo Socrate sapiente, non volle, io credo, riferirsi propriamente a me Socrate, ma solo usare del mio nome come di un esempio; quasi avesse voluto dire così: ''O uomini, quegli tra voi è sapientissimo il quale, come Socrate, abbia riconosciuto che in verità la sua sapienza non ha nessun valore''.
Per Socrate era importante trovare un fondamento sicuro alla nostra conoscenza e, a suo parere, tale fondamento andava ricercato nella ragione umana. Con la sua salda fede nella ragione dell'uomo era un tipico razionalista.
Il vero sapere porta al giusto agire
Ho già accennato al fatto che Socrate riteneva di avere dentro di sé una ''voce'', uno ''spirito divino e demoniaco'' e che questa ''coscienza'' gli diceva che cosa fosse giusto. Chi sa che ciò è bene farà anche il bene, affermava. Secondo lui il vero sapere porta al giusto agire. E solo chi agisce in modo giusto diventa ''un uomo giusto''. Quando ci comportiamo in modo sbagliato, è perchè non sappiamo. Per questo è così importante accrescere la nostra conoscenza. Socrate era occupato a trovare definizioni chiare e universali su ciò che è giusto e su ciò che è sbagliato. Al contrario dei sofisti, riteneva infatti che la capacità di distinguere tra quello che è giusto e quello che è sbagliato si trovi nella ragione, e non nella società.
Forse stai pensando che l'ultima parte non sia molto facile da mandare giù, Sofia. Riproviamo: per Socrate è impossibile essere felici se si agisce contro le proprie convinzioni. E chi sa come diventare un uomo felice cerca anche di diventarlo. Per questo chi sa che cosa è giusto agisce anche in modo giusto. Nessun essere umano desidera essere infelice, no?
Che ne pensi, Sofia? Saresti capace di vivere felicemente se continuassi a fare cose che dentro di te sai essere non giuste? Ci sono molte persone che continuano a rubare, a mentire, a parlar male degli altri. Anche loro sanno che non è giusto, o perlomeno che è scorretto. Ma tu credi che questo li renda felici? Socrate non ci credeva.
nadia
nel tuo scritto ho letto molte volte il sapere di non sapere niente io che veramente non sapevo, tu per me sei stata come Socrate
Cara Nadia
Non puoi immaginare l’emozione che mi hai arrecato con il tuo articolo su Socrate che mi ha riportato indietro di vari lustri quando ingenuo giovinetto mi costringevano, mio malgrado, a nutrirmi di pensieri profondi e concetti irraggiungibili. Oggi risento con commozione il suono delle parole dei miei antichi maestri al Liceo “Tasso” e il tuo scritto ha ridestato antichi ricordi che nostalgicamente hanno fugato per un attimo ansie e affanni di un mondo dove scadono ognora di più valori antichi.
Socrate fu maestro insuperabile come insuperabile fu il suo comportento quando fu condannato a morte perchè accusato di corrompere i giovani insegnando loro a disprezzare la religione dello stato. Socrate afferma che la virtù implica la conoscenza del bene, poiché non si può conoscere veramente il bene senza desiderare di compierlo, ma vera conoscenza è unicamente quella dell’universale, cioè del concetto, valido e dimostrabile per tutti, poiché la verità, identificandosi col bene, non può variare a seconda degli individui, come sostenevano i sofisti. Secondo Socrate, la virtù, e quindi la conoscenza, deve essere suscitata dall’intimo dell’essere umano, secondo l’insegnamento dell’oracolo di Delfi: «conosci te stesso». Questa che rappresenta l’unica forma di vera conoscenza implica anzitutto la consapevolezza dei propri limiti e della propria ignoranza, cioè il «sapere di non sapere» che costituisce la saggezza (cosa che non avviene quasi mai nei tempi attuali caratterizzati da una caduta di valori e il completo abbandono dell’etica). Nel processo educativo Ssocrete raggiunge la vera conoscenza attraverso l’ironia, che costringe ciascuno a riconoscere la propria ignoranza e presunzione. Alla fine Socrate scopre che solo con la maieutica, cioè l’arte della levatrice, si può giungere a trarre alla luce i germi della verità presenti in ogni individuo, che si rivelano unicamente nel dialogo, cioè nell’incontro con una diversa individualità. La necessità del dialogo costituisce la grande eredità di Socrate.
Grazie della emozione che mi hai recato.
Ciao
Nadia, complimenti ottimo argomento! Io credo che non esista filosofo più celebre di Socrate. Apprezzo molto il suo motto, più vado alla ricerca del sapere e più mi convinco di essere lontano dal mondo infinito della realtà. Rimane un mio forte dubbio sul suo pensiero della democrazia, è sua convinzione che le decisioni di carattere collettivo, è priva di razionalità. Pertanto ricorrere al voto di maggioranza per decidere è un abuso! Un saluto.
Nadia e Rosaria, si respira un po’ d’aria buona da voi. Ora vi occupate dei grandi della filosofia. Socrate è fondamentale per il metodo: dialogo e ragionamento. Sicché le conclusioni erano sempre condivise. Certo, il Maestro indirizzava ma non imponeva. Bravo Socrate, grande.
Quanti ricordi scolastici, Nadia!!! E dire che Socrate, Platone, Aristotele erano proprio i miei preferiti. Il suo nome è legato alla cicuta che fu costretto a bere quando fu ritenuto colpevole dopo il processo in cui aveva tentato un’inutile quanto appassionata difesa (la celebre Apologia testimoniata da Platone). Beh, meno male che qualcosa mi ricordo ancora! Grazie, Neve, x aver suscitato questi ricordi e x avermi rinfrescato la mente col tuo scritto, molto piacevole da leggersi.