libro aperto 1

il_matto dei tarocchiLa gente lo chiamava così: Pazzo. Non aveva più un nome, ormai era il matto del villaggio, per alcune persone, il cane randagio da scacciare. Camminava senza una meta, un girare continuo per le vie del paese alla ricerca di chissà che cosa. Nella sua mente in disordine c’era certamente un obbiettivo, un fine da raggiungere. Movimenti rapidi,  frenetici, un attimo di esitazione per ripartire di nuovo verso un'altra direzione.

Evitava la gente, cercava luoghi poco frequentati per evitare quelle domande che tutti gli facevano : - Dove vai pazzo? Che fai ?-

     E lui sorrideva scrollando il capo, agitando le braccia in gesti comprensibili. Oppure affondava le mani nelle tasche della giacca e osservava un punto imprecisato del cielo. Un paio di pantaloni sdruciti ripiegati fino a metà stinco, mettevano in evidenza i calzini di colore diverso. Le scarpe legate con uno spago, una giubba cadente sopra una camicia a quadri, un fazzoletto annodato  al collo: questo era il suo vestire. Ogni tanto , qualche donna anziana , lo ricambiava con abiti puliti.

    Però, era sempre ben rasato, e i capelli se li tagliava da solo. Si vedevano le forbiciate e la sua testa appariva rasata come una pecora dopo la tosatura. Anche i bambini lo schernivano chiamandolo pazzo, ma lui rideva e faceva il girotondo insieme a loro. Era, il suo, un sorriso divertito  e girava su se stesso come un orso goffo del circo, e con le braccia ciondoloni scandiva il tempo ritmando le grida dei bimbi.

capannaViveva  alla periferia del paese in una capanna incaniegatti compagnia di gatti e cani. Si sedeva sulla soglia della porta e teneva sulle ginocchia e fra le gambe  i suoi amici animali accarezzandoli. Non voleva che le persone entrassero nella sua casa, solo ai bambini permetteva di giocare con l’altalena che lui stesso aveva costruito per loro. E si divertiva a spingere i bambini accompagnando il movimento canticchiando:- Oh, Oh ,  Oh Oh  - E sul suo volto riappariva quel sorriso sereno.

    Il gioco durava poco, le mamme richiamavano i figli, non volevano che giocassero col pazzo. Così ricadeva nel suo mutismo. Era attratto dai fiori, tanti ne sbocciavano intorno alla capanna, li ripuliva dalle erbacce e con le dita accarezzava dolcemente i petali come una carezza. Le lacrime allora, rigavano il suo volto. Sembrava che in quei momenti, il cervello avesse ritrovato la lucidità, ma erano attimi e ripartiva di scatto come sorpreso a rubare le bellezze della natura. Il suo girovagare si interrompeva ad un’ora del pomeriggio: quando suonava  l’Ave Maria, si ritrovava sempre all’ingresso del Cimitero, ma non entrava, appoggiava la fronte ai ferri del cancello e guardava un punto ben preciso. Con le mani stringeva l’inferriata come un carcerato dietro le sbarre di una prigione  e singhiozzava piangendo.

     Stava a lungo in quella posizione , poi si asciugava gli occhi con il dorso della mano, e ripartiva per le vie del paese. 13_note_musicali

Era attratto dalla musica, si fermava sovente sotto le finestre dell’abitazione da dove diettore orchestraveniva il suono e come un direttore d’orchestra dirigeva suonatori immaginari. Ma cosa era successo a quella mente  devastata? Come era possibile che dal sorriso passasse rapidamente al pianto? Solo nei meandri del suo cervello si trovavano le risposte.

     Quando il buio avvolgeva le case, s’incamminava deciso verso la sua capanna . Si sedeva sulla soglia e stava a lungo a fissare l’universo come se cercasse qualcuno, lassù nascosto fra miriadi di stelle. Poi si alzava chiudendo la porta .

     Ultimamente dava segni di affaticamento, le mani gli tremavano e lo sguardo era spento. Però sembrava che avesse trovato una certa lucidità, che il mosaico della ragione si fosse ricomposto, che la mente ridonasse di nuovo immagini e fatti. Ora, erano gli altri a non capire che lui capiva. E la sera , si faceva accompagnare anche dentro casa da quelle donne che ogni tanto gli davano gli abiti puliti. I bambini andavano a trovarlo e non lo chiamavano più pazzo, ma si sedevano ascoltando un infinità di storie tenute per troppo tempo nascoste.

     Ormai nel paese non andava più: molto del suo tempo lo passava dentro la capanna. Metteva tutto in ordine come se aspettasse qualcuno. E puntuale l’ospite arrivò senza bussare. Lo trovò sul letto vestito di un abito blù e camicia bianca come in un giorno di festa. I capelli che non aveva più tagliato , cadevano sulla fronte . Il viso ben rasato  e la bocca che accennava ad un sorriso sereno. Dormiva di un sonno profondo. Tra le mani stringeva una foto di donna con i capelli lunghi e occhi profondi. L’espressione della giovane sembrava volesse dire : -Ora siamo di nuovo insieme-

Giulio2Il Maledetto Toscano

11 Commenti a ““IL PAZZO” Racconto scritto da Giulio.lu (inserito da Rosaria)”

  1. Giulio Salvatori ha detto:

    Popof.Da noi si dice che il cervello ha tante stanze,ed è impossibile vedere il contenuto di tutte contemporaneamente.
    Già una mente sana è un groviglio, figuriamoci una malata.Grazie Popof

  2. popof ha detto:

    E’ l’incapacità a capire il pazzo che lo fa descrivere tale o è il pazzo che non riesce o non vuole relazionarsi agli altri?
    Grazie Giulio per il respiro di pensiero.

  3. Giulio Salvatori ha detto:

    Come sempre troppo buoni nei miei confronti.Grazie veramente per avermi letto.Un grazie particolare a Rosaria.

  4. lieve ha detto:

    Giulio, sei riuscito ancora una volta a commuovermi, la tua sensibilita’ ogni vota mi lascia esterefatta…Un racconto davvero suggestivo,pensato da una mente poetica e di rara delicatezza.Gazie!

  5. franci ha detto:

    Mi chiedo chi è davvero il pazzo…..non certo quello del tuo racconto, Giulio, ma spesso pazzi sono quelli definiti “normali”. Fossero tutti come il tuo, i pazzi…!!!
    Ciao toscano e grazie per questa storia di struggente tenerezza e infinito amore!

  6. rosaria3,na ha detto:

    Giulio, come sempre, il tuo racconto tocca le corde del cuore. Quanti ce ne sono di “pazzi buoni” come quello del racconto (nei vari paesini d’Italia e non solo)! Vengono spesso derisi da tutti ed evitati, mentre avrebbero bisogno di + attenzioni e cure. Conducono una vita solitaria e di ricordi. Se non erro esiste anche una canzone di Rossana Casale intitolata proprio “Il matto del paese” che dice…. “L’hanno intravisto, l’hanno additato faccia scavata, avrà mai mangiato? Ascolta musica a ritmo lento e con le braccia dirige anche il vento…..” Grazie, Giulio x averci ancora una volta emozionati con un tuo racconto.

  7. giovanna3.rm ha detto:

    Giulio, che storia delicata, quanta sensibilità nel tuo racconto e che bella descrizione!

  8. tittati ha detto:

    Giulio, come sempre, un tuo scritto che emoziona e che fa riflettere; grazie, maledetto toscano!

  9. luciano 3 rm ha detto:

    Giulio. Bravo Una storia molto espressiva, il (matto) in definitiva è la storia di un normale uomo come tanti, segnato dalla perdita della persona cara. Un saluto.

  10. lorenzo.rm ha detto:

    Giulio, è tutto di alto livello, il personaggio, la storia, il luogo, le suggestioni. Ci catapulti dentro e ci rendi partecipi di un fatto romantico e singolare. Dobbiamo, come sempre, ringraziarti, benedetto toscano.

  11. silvia8.mi ha detto:

    che triste ma nello stesso tempo dolce questo “pazzo” complimenti Giulio

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